E se la frase più importante in fatto di politica estera Donald Trump l’avesse pronunciata ieri all’infuori del suo discorso d’insediamento? Qualche ora più tardi, in videocollegamento con un gruppo di militari americani di stanza in Corea del Sud, il presidente ha chiesto loro con tono scherzoso: “che dice Kim (Jong-Un, ndr)?”. E ha aggiunto che il dittatore nordcoreano sarebbe sicuramente “contento” del suo ritorno alla Casa Bianca, essendo a capo di una “potenza nucleare” ed avendolo incontrato diverse volte in passato.
Occasione storica per Kim Jong-Un
Parole che hanno subito fatto scattare dalla sedia i leader di Corea del Sud e Giappone, gli acerrimi nemici della Corea del Nord. Nessun presidente americano aveva mai definito quest’ultima una potenza nucleare. Ufficialmente, gli Stati Uniti ritengono che i test nucleari condotti da Pyongyang siano avvenuti in violazione degli accordi internazionali. C’è da dire che, sul piano formale, Trump non ha riconosciuto lo status di stato dotato di armi nucleari. Ma in audizione al Senato, la sua nomina a segretario per la Sicurezza, Pete Hegseth, ha usato anch’egli un’espressione simile per riferirsi al regno eremita.
Secondo qualche osservatore, la nuova amministrazione Trump potrebbe prendere atto del fatto che la Corea del Nord sia ormai una “potenza nucleare di fatto”. Ciò comporterebbe novità dirompenti per Kim Jong-Un. Con Trump s’incontrarono per tre volte tra il 2018 e il 2019. Addirittura, il presidente americano mise piede nella zona demilitarizzata e fu così il primo inquilino della Casa Bianca ad essere entrato formalmente in Corea del Nord.
Le relazioni tra i due s’interruppero per una ragione essenziale: Washington chiedeva a Kim la “totale denuclearizzazione“. Condizione inaccettabile per il dittatore comunista, il quale vede nello status di potenza nucleare una polizza di assicurazione per il suo regime dalle possibili intromissioni persino di alleati come la Cina.
Economia nordcoreana a pezzi
L’economia nordcoreana è a pezzi, specie dopo la chiusura totale delle frontiere dovuta al Covid negli anni passati. Ora che l’interscambio con la confinante Cina è ripreso, tuttavia, le esportazioni sono rimaste molto inferiori a quelle pre-Covid. Ed erano già ridotte all’osso. Lo stesso dicasi per le importazioni. La carenza generalizzata dell’offerta di beni ha innescato l’esplosione dei prezzi al consumo. Ad esempio, il riso costa il 65% in più di un anno fa. E il cambio contro il dollaro è precipitato nello stesso tempo di oltre il 60%, toccando nuovi minimi storici.
Solamente il ritiro delle sanzioni, unitamente all’incremento dell’import-export con l’estero e ad una maggiore liberalizzazione interna, porterebbe a una ripresa dell’economia. Se Trump, anziché pretendere la denuclearizzazione, si limitasse a imporre a Kim Jong-Un il “congelamento” dell’arsenale in cambio di un allentamento dell’embargo, le parti giungerebbero probabilmente a una soluzione condivisa. Pyongyang smetterebbe di minacciare la regione con il lancio ormai frequente di missili balistici sin dal 2006 e garantirebbe così migliori condizioni economiche alla sua popolazione.
Ma Washington deve fare i conti con Seul, anzitutto. I sudcoreani ritengono imprescindibile la denuclearizzazione totale della penisola. Abbiamo visto quanto il clima politico sia teso nel Sud. Un mese e mezzo fa, il presidente Yoon Suk-yeol introdusse la legge marziale, accusando l’opposizione di essere in combutta con il regime nordcoreano. Le vivaci proteste di piazza gli fecero cambiare idea dopo poche ore. E’ al momento sospeso in attesa della conclusione della sua messa in stato di accusa.
Potenza nucleare versus fine dell’embargo
Rispetto al primo mandato, Trump non solo si è rafforzato sul piano politico, ma ha una squadra di fedelissimi al governo e nulla più da perdere. Può permettersi il lusso di fare di testa sua in politica estera, anche perché gran parte del “deep state” contro cui si scontrò nei primi quattro anni alla presidenza ha fatto le valigie in vista del suo ritorno. Per Kim Jong-Un sarebbe un’opportunità storica per migliorare i rapporti con i nemici storici della Corea del Nord senza rinunciare ad essere una potenza nucleare, pur tenuta a bada da un eventuale accordo. Con un’economia così claudicante, la fine dell’embargo sarebbe il massimo da ottenere.