Il fattore tassi
In base alla storia degli ultimi 35 anni, dovremmo dedurre di sì. Non per questo, però, possiamo escludere altri scenari. L’economia danese si trova oggi in uno stato di sostanziale piena occupazione, con i senza-lavoro al 4,3%. Allo stesso tempo, gode ancora di un’inflazione abbastanza bassa, che a febbraio risultava salita all’1% contro il 2% dell’Eurozona, scesa all’1,5% a marzo.
Rohde mantiene una politica monetaria ultra-espansiva, con tassi al -0,65%. Viene da chiedersi quanto questa possa durare.
Danimarca già in piena occupazione
Non aiuta la vicinanza geografica con la Germania, altra economia quasi in piena occupazione. Ciò significa che di questo passo, tra pochi mesi un qualsiasi incremento della domanda interna o delle esportazioni (l’80% del pil danese) si tradurrebbe in inflazione, non in un aumento della produzione, a causa delle difficoltà nel trovare lavoratori disponibili. Ma un surriscaldamento dell’inflazione costringerebbe la banca centrale ad alzare i tassi, anticipando la stretta della BCE.
Ne consegue che il mercato, in previsione di tale evento, potrebbe sin d’ora iniziare a scontare un rafforzamento della corona danese, scommettendo al rialzo. Al momento, il cambio contro l’euro vale 7,43565, solamente lo 0,33% più forte del tasso di riferimento, anche se per la storia di Copenaghen non sarebbero scostamenti così insignificanti. (Leggi anche: In Danimarca si guarda a un rialzo dei tassi)