Cosa prevede il piano per la riforma pensioni: le due misure cardine per il 2023

Riforma pensioni a un punto di stallo, ma qualcosa comunque si muove e due cambiamenti importanti sarebbero in arrivo.
3 anni fa
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pensioni

La riforma pensioni sembra sulla via dl tramonto, ma qualcosa dovrà comunque essere fatto entro l’anno. Le priorità del Paese, si sa, sono diventate altre e più impellenti, ma a fine anno scadono le deroghe Fornero.

E anche quota 102 che è stata varata per sostituire quota 100. Essa dura solo 12 mesi e potrebbe essere rinnovata qualora si arrivasse a fine anno senza aver partorito una riforma pensioni seria e strutturale.

Riforma pensioni e Quota 41

Sulla riforma, i sindacati insistono per il pensionamento anticipato a 62 anni, come avviene anche in altri Paesi.

Ma questa sembra più che altro una partita persa in partenza dopo che il governo ha spostato, con quota 102, l’ago dell’età di uscita a 64 anni.

L’altro tema caldo è Quota 41, ovvero il pensionamento anticipato con 41 anni di contributi indipendentemente dall’età. Le parti sociali puntano a mandare in pensione qualche anno prima i lavoratori rispetto a quanto avviene oggi con le regole Fornero.

Esse prevedono l’uscita a 41-42 anni e 10 mesi. Troppo, secondo i sindacati che fanno sapere che 41 anni di lavoro sono più che sufficienti per ottenere la pensione. Il passo è quindi breve e pare ci siano margini di manovra.

Uscita a 64 anni col ricalcolo contributivo

Questa opzione, fortemente caldeggiata dal governo, sembra penalizzante perché ridurrebbe di molto l’assegno. La penalizzazione sarebbe però relativa poiché bisogna considerare anche il periodo di godimento della pensione.

Secondo Alberto Brambilla, presidente di Itinerari Previdenziali, da quest’anno il 90% circa dei potenziali pensionati sono nel regime misto e la loro rendita per il 70% circa è calcolata con il metodo contributivo. Quindi solo un terzo della pensione sarebbe “danneggiato” dal sistema di calcolo contributivo.

A conti fatti, il regime di calcolo contributivo puro anche per chi sta nel sistema misto renderebbe sostenibile l’anticipo rispetto all’età di vecchiaia a 67 anni.

Peserebbe sull’assegno di chi anticipa l’uscita per circa il 3% l’anno. Il che significa che uscendo a 64 anni col sistema contributivo puro si perderebbe il 9% della pensione rispetto all’uscita a 67 col sistema misto.

Tuttavia – osserva Brambilla –  non si tratta di una penalizzazione come qualcuno afferma. Semplicemente si prende la pensione prima, e per 3 anni in più rispetto alla vecchiaia. Quindi, alla fine, in media l’incasso dell’assegno è lo stesso.

Mirco Galbusera

Laureato in Scienze Politiche è giornalista dal 1998 e si occupa prevalentemente di tematiche economiche, finanziarie, sociali

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