La riforma pensioni sembra sulla via dl tramonto, ma qualcosa dovrà comunque essere fatto entro l’anno. Le priorità del Paese, si sa, sono diventate altre e più impellenti, ma a fine anno scadono le deroghe Fornero.
E anche quota 102 che è stata varata per sostituire quota 100. Essa dura solo 12 mesi e potrebbe essere rinnovata qualora si arrivasse a fine anno senza aver partorito una riforma pensioni seria e strutturale.
Riforma pensioni e Quota 41
Sulla riforma, i sindacati insistono per il pensionamento anticipato a 62 anni, come avviene anche in altri Paesi.
L’altro tema caldo è Quota 41, ovvero il pensionamento anticipato con 41 anni di contributi indipendentemente dall’età. Le parti sociali puntano a mandare in pensione qualche anno prima i lavoratori rispetto a quanto avviene oggi con le regole Fornero.
Esse prevedono l’uscita a 41-42 anni e 10 mesi. Troppo, secondo i sindacati che fanno sapere che 41 anni di lavoro sono più che sufficienti per ottenere la pensione. Il passo è quindi breve e pare ci siano margini di manovra.
Uscita a 64 anni col ricalcolo contributivo
Questa opzione, fortemente caldeggiata dal governo, sembra penalizzante perché ridurrebbe di molto l’assegno. La penalizzazione sarebbe però relativa poiché bisogna considerare anche il periodo di godimento della pensione.
Secondo Alberto Brambilla, presidente di Itinerari Previdenziali, da quest’anno il 90% circa dei potenziali pensionati sono nel regime misto e la loro rendita per il 70% circa è calcolata con il metodo contributivo. Quindi solo un terzo della pensione sarebbe “danneggiato” dal sistema di calcolo contributivo.
A conti fatti, il regime di calcolo contributivo puro anche per chi sta nel sistema misto renderebbe sostenibile l’anticipo rispetto all’età di vecchiaia a 67 anni.
Tuttavia – osserva Brambilla – non si tratta di una penalizzazione come qualcuno afferma. Semplicemente si prende la pensione prima, e per 3 anni in più rispetto alla vecchiaia. Quindi, alla fine, in media l’incasso dell’assegno è lo stesso.