E’ stato difficile seguire in questi giorni la vicenda grottesca attorno a OpenAI, la società attiva nell’Intelligenza Artificiale e a capo del progetto ChatGPT, che da mesi scuote l’intero pianeta. In cinque giorni, il board ha prima licenziato il CEO e fondatore, Sam Altman, lo ha subito sostituito con la giovane CTO 32-enne albanese Mira Murati, dopodiché ha aperto le trattative per il rientro del capo, nel frattempo ha nominato Emmett Shear (ex Twitch) come nuovo CEO ad interim e, alla fine, si è ripreso Altman.
Possiamo definirli senza fronzoli cinque giorni di ordinaria follia. Non ci aspetteremmo mai che una situazione così al limite dell’assurdo possa riguardare una società privata, che dovrebbe essere guidata all’insegna dell’efficienza e della tutela dell’immagine. Il board di OpenAI è riuscito nell’incredibile capacità di distruggere la reputazione societaria in pochissimo tempo.
Scontro CEO-board per vizio di origine
Torniamo a giovedì scorso. Altam licenziato. Causale? Avrebbe gestito la OpenAI senza i criteri di trasparenza pretesi dal board, che si è detto all’oscuro di molte informazioni e decisioni assunte dal capo. Il motivo del contendere è stato uno e soltanto uno: Altman voleva e vuole sfruttare l’Intelligenza Artificiale per fare business, il board vorrebbe metterla al servizio dell’umanità ed effettuarne prima un’analisi benefici-costi anche in termini d’impatto sociale.
Profitto contro bene dell’umanità. Non certo una diatriba immaginabile dentro una società privata, che fondamentalmente avrebbe scopo di lucro. Il bello sta qui. Quando OpenAI nacque come startup, i suoi stessi fondatori decisero che il board sarebbe stato indipendente e perseguito criteri non improntati al denaro. Insomma, c’è un peccato originale che macchia la storia della società. Mentre questa chiedeva i capitali al mercato, ufficialmente si poneva obiettivi che agli investitori non potevano stare bene.
Ritorno di Altman in OpenAI grazie a Microsoft
Di fatto, al centro di questa vicenda c’è Microsoft.
Il 95% dei 770 lavoratori di OpenAI ha scritto alla società per comunicare la volontà di andarsene se la questione Altman non fosse stata risolta. Per loro ci sarebbero state porte aperte in Microsoft, che ha così giocato la carta del ricatto per mettere alle strette il board. Questi si è trovato costretto a riaprire il negoziato con il CEO licenziato per non rischiare di perdere capitali e risorse umane a favore del suo principale investitore, rimando alla guida di una società diventata scatola vuota.
Alla fine, un compromesso che salva la faccia al board solo a metà e formalmente. Altman torna CEO, ma dovrà essere affiancato da Bret Taylor e Larry Summers, rispettivamente ex co-CEO di Salesforce.com e segretario al Tesoro sotto l’amministrazione Obama. Del team farà parte anche Adam D’Angelo, membro del board.
Business batte idealismo
Cosa ci insegna questa vicenda? L’idealismo va anche bene finché non intralcia la strada al business. Una brutale verità che il board ha imparato a proprie spese. Non puoi chiedere i capitali ad investitori privati e comportarti come se fossi un ente benefico. Qualcuno si è fatto prendere la mano dai discorsi di presunti imprenditori illuminati, tra cui spicca proprio Bill Gates, che quotidianamente martellano l’opinione pubblica con certa retorica umanitarista e tutta ispirata a bontà d’animo.
Lo stesso board è arrivato a più miti consigli nelle ore in cui dal mercato gli si faceva notare che a rischio vi fosse la stessa ChatGPT. Si tratta di un business ancora oggi inimmaginabile per dimensioni e impatto sul futuro dell’umanità. Restano le incognite circa le conseguenze che l’Intelligenza Artificiale avranno sul mercato del lavoro, le relazioni economiche tra stati, le fasce sociali, la politica, ecc. Ma è improbabilissimo che a questi interrogativi possano rispondere la stessa OpenAI o altre realtà concorrenti simili. Il mercato farà il mercato ed eventualmente i governi faranno i governi. L’autocensura e l’autodisciplina non sono contemplate.