Questo è un anno da incorniciare per le banche europee, che grazie all’aumento dei tassi di interesse tornano a fare profitti come non si vedevano da molti anni. Il tema ha attirato le attenzioni e spesso le ire dei governi, i quali lamentano una iniqua distribuzione dei vantaggi della stretta: i risparmiatori non stanno ricevendo un pari aumento della remuneratività sui conti deposito. Ma i rischi sistemici a carico delle banche, pur stimati bassi, continuano ad esistere.
Banche a rischio perdite sui bond
La scorsa settimana, presiedendo la settima conferenza annuale dello European Systemic Risk Board, Christine Lagarde ha lanciato un allarme.
Vi abbiamo più volte spiegato il significato delle cosiddette “perdite non realizzate“. Sono “buchi” di bilancio virtuali fintantoché le banche non rivendano i bond in portafoglio e acquistati quando i tassi di interesse erano a zero. Vi facciamo un esempio facile facile. Immaginate che una banca abbia comprato il bond austriaco a 100 anni (scadenza 30 giugno 2120) esattamente tre anni fa ad una quotazione superiore a 130. Se oggi avesse la necessità di rivenderlo, le pagherebbero appena 41,50 centesimi scarsi. Riporterebbe così una perdita di circa il 69%. Su un investimento di 1 milione di euro, sarebbero 690 mila euro di rosso.
Incognita PEPP
Molte di queste perdite prima o poi dovranno essere contabilizzate, perché le banche non potranno aspettare di certo che arrivino a scadenza bond a 30, 50 o 100 anni. Ed è difficilissimo credere che le quotazioni possano riportarsi nei prossimi anni ai livelli di carico. Ciò detto, la BCE di Lagarde starebbe inviando un segnale sulla sua politica monetaria.
E con il PEPP? Fino alla fine del 2024 i riacquisti sono garantiti. Nei mesi scorsi si era ipotizzato un anticipo di tale “deadline”. Ora che la stretta sui tassi sembra conclusa, lo scenario più restrittivo si starebbe allontanando. Non è chiaro, però, se a Francoforte ancora i “falchi” pretendano uno scambio tra stop all’aumento dei tassi e fine dei riacquisti anche con il PEPP. La BCE detiene complessivamente oltre 4.800 miliardi di euro di bond, di cui quasi 4.200 miliardi sono titoli di stato.
Bilancio BCE sotto stress
La stessa BCE sta accusando il colpo. Ha dovuto aumentare i tassi per combattere l’inflazione, ma ora si ritrova in portafoglio asset svalutati. Tali perdite incidono sul suo bilancio, che già l’anno scorso esitò un utile nullo. Lagarde ha più volte ribadito che l’istituto potrà funzionare senza problemi anche con un patrimonio netto negativo. Tecnicamente, ha ragione. Sul piano politico, però, ciò non sarebbe auspicabile. Verrebbe meno la credibilità sul mercato verso colei che stampa denaro per i cittadini di venti economie nell’Eurozona. L’euro potrebbe risentirne.
Messaggio di Lagarde non solo alle banche, anche al board
I “falchi” come la Bundesbank vorranno evitare uno scenario simile. Come? I governi potrebbero essere chiamati a coprire le perdite delle rispettive banche centrali nazionali, un’ipotesi che si attirerebbe gli strali dei contribuenti e che nel Nord Europa, in particolare, riaprirebbe la vecchia ferita degli anni di accomodamento monetario. Non resterebbe che evitare alla radice che il valore degli asset continui a deprezzarsi sul mercato, fermando non solo l’aumento dei tassi, ma anche lo stop ai riacquisti con il PEPP.
Ecco perché le parole di Lagarde possono essere interpretate anche come un messaggio rivolto al suo stesso board. La Banca di Francia sembra propendere per la cautela dopo avere appoggiato la stretta sui tassi. E Lagarde, che è francese, non è insensibile alle dichiarazioni del governatore e connazionale François Villeroy de Galhau.