I prezzi del petrolio negativi non li avevamo considerati. Negli ultimi anni, abbiamo pensato che la bizzarria dei tassi negativi sarebbe rimasta confinata ai mercati finanziari, nessuno avrebbe mai immaginato che avrebbe lambito il mercato reale, quello dei beni e dei servizi, con i venditori a pagare gli acquirenti. E’ il mondo all’incontrario di questi tempi, un segno dello scombussolamento in corso dei paradigmi apparentemente incrollabili su cui si sono da sempre retti i nostri modi di ragionare. Per svariate ragioni che vi abbiamo spiegato ieri, il WTI americano è arrivato a quotare fino a un minimo record di -37,63 dollari.
Prezzo dell’oro giù di 200 dollari l’oncia, metallo “sacrificato” dai mercati finanziari
Chiediamoci adesso quali sarebbero le implicazioni di questo evento sul mercato dell’oro, che si apprezzava di poco proprio nelle ore in cui sui mercati si scriveva una pagina di storia senza precedenti. Ieri, il metallo quotava in area 1.665 dollari l’oncia, molto sotto i quasi 1.737 dollari toccati giovedì scorso, che erano stati i massimi dal 2012.
Vi abbiamo spiegato più e più volte che tendenzialmente il prezzo dell’oro e quello del petrolio sono correlati positivamente, nel senso che quando il secondo scende o sale, il primo segue. In questo caso così estremo, però, la situazione appare diversa. La discesa delle quotazioni petrolifere negli abissi, compresa la caduta del Brent in area 20 dollari, segnala certamente una carenza di domanda ormai eclatante e diffusa nel mondo, provocata dai numerosi “lockdown” imposti dai governi per contenere la diffusione del Coronavirus. Preoccupiamoci ora delle conseguenze.
Le buone notizie per l’oro
Le compagnie americane sono capaci di produrre coprendo i costi ad almeno 40 dollari al barile, per quanto i dati varino parecchio da area ad area e a seconda che si tratti del settore petrolifero tradizionale o dello “shale”.
E’ accaduto l’incredibile: petrolio venduto a -37 dollari, avremo la benzina gratis?
Questo significa che l’industria petrolifera nel mondo sta accusando un durissimo colpo, mai così grave nella sua storia. E se questo è vero, allora a rischio vi è la sopravvivenza di molte realtà minori e il rispetto dei pagamenti dei debiti da queste contratti, vuoi verso le banche, vuoi verso gli obbligazionisti, cioè il famoso mercato dei bond. Stiamo dicendo che il rischio di default a catena siano quanto mai elevati e reali. E lo stesso dicasi per gli stati produttori e fortemente dipendenti dal greggio per le proprie entrate. Tra questi includiamo la stessa Arabia Saudita, dove ancora oggi gran parte delle finanze pubbliche viene alimentata dai proventi petroliferi.
In generale, il Golfo Persico avrebbe bisogno di quotazioni fino a 4 volte superiori a quelle odierne del Brent per avere i conti pubblici in ordine. E la gran parte delle compagnie private di tutto il mondo non sopravvivrebbe a lungo con quotazioni che non fossero almeno il doppio di oggi, cioè in area 40 dollari. Questo ci induce a pensare che le quotazioni dell’oro siano destinate ad apprezzarsi nel breve, puntando verosimilmente verso la soglia dei 2.000 dollari, ad oggi rimasta inesplorata. Sarebbe la paura a smuovere gli acquisti, oltre che il tonfo dei rendimenti di tutti i principali bond governativi nel mondo, a sua volta provocato dal “raffreddamento” delle aspettative d’inflazione.
Le brutte notizie per l’oro
Si consideri che attualmente negli USA il “breakeven” tra Treasury con cedola fissa e Treasury legato all’inflazione a 5 anni si attesta intorno al mezzo punto percentuale, cioè il mercato si aspetterebbe che negli USA la crescita media annua dei prezzi nel prossimo lustro sarà di circa lo 0,50%.
E’ evidente come la crisi delle quotazioni petrolifere sia strettamente connessa alla durata della pandemia e all’entità della crisi che questa si porterà dietro e che si annuncia la più grave dal Secondo Dopoguerra. Per fine anno, ad esempio, le consegne di Brent ad oggi si aggirano in area 35 dollari, poco più della metà di inizio anno. Ma se le quotazioni restassero troppo basse a lungo, il mercato si troverebbe costretto a scontare una vera deflazione almeno temporanea presso le economie avanzate di Nord America, Europa, Giappone e Australia. E questo di per sé deporrebbe a sfavore dell’oro, i cui prezzi fletterebbero per la minore domanda alimentata dagli investitori in cerca di protezione contro il rischio di perdita del potere di acquisto.
Peraltro, più forte e lunga la crisi e più il dollaro rimarrebbe forte per un periodo maggiore di quanto sinora atteso, colpendo a sua volta le quotazioni auree. Si pensi solamente che lo spread Treasury-Bund a 10 anni risulta sceso ormai ad appena 100 punti base e che segnalerebbe un cambio euro-dollaro atteso per il 2030 a meno di 1,20. A inizio anno, la previsione ancora era per un rapporto decisamente superiore a 1,30, prova di quanto si siano deteriorate le prospettive per la seconda valuta più importante al mondo e, al contrario, di quanto si siano rafforzate quelle a lungo termine del biglietto verde, che quest’anno guadagna mediamente il 4,5%, riducendo le probabilità di una veloce ripresa dei prezzi al consumo negli USA dopo l’emergenza Coronavirus.
Il prezzo dell’oro sale, quello del petrolio scende e alla lunga non si tiene