La nuova Commissione europea di Ursula von der Leyen è pronta e sarà presentata ufficialmente oggi, al termine di svariate polemiche sulla sua composizione. Tre i fronti che si sono aperti nei giorni scorsi. Il primo in Slovenia, dove il governo aveva indicato il nome Marta Kos come sua rappresentante, bloccata dal Partito Popolare Europea. L’Italia ha indicato Raffaele Fitto, esponente di Fratelli d’Italia del Gruppo Ecr. Alla sinistra non è andata giù, tant’è che Verdi, liberali e socialisti hanno minacciato la bocciatura.
A Fitto deleghe importanti
I nodi sembrano essersi tutti sciolti proprio con la sostituzione di Breton con Stéphane Séjourné, al quale sarà assegnata una vicepresidenza esecutiva in formato maxi e con deleghe pesanti sulla Strategia Industriale. A Fitto sarà assegnata una delle altre cinque vicepresidenze. Inizialmente, si pensava a Economia e Pnrr, mentre adesso si apprende che sarà supervisore su Coesione e Riforme e co-gestirà i fondi del Pnrr con il lettone Valdis Dombrovskis.
Meloni e von der Leyen, la strana coppia
La nomina di Fitto è sui generis. Fratelli d’Italia non ha votato la fiducia a von der Leyen ed Ecr non fa parte ufficialmente della sua maggioranza. Tuttavia, a Bruxelles le logiche politiche sono diverse da quelle nazionali. Poiché ogni stato membro dell’Unione Europea ha diritto a nominare un commissario, è evidente che ogni governo indicherà un nome che lo rappresenti. Pertanto, la Commissione non rispecchia gli equilibri all’Europarlamento, bensì la cartina politica comunitaria.
Ma la nomina di Fitto riaccende i fari su quanto accaduto a luglio, quando a sorpresa Fratelli d’Italia si espresse contro la tedesca nel voto segreto. Da mesi vi era stata una buona sintonia tra von der Leyen e la premier Giorgia Meloni, per cui in tanti in Italia non hanno capito fino in fondo le ragioni di quel voto contrario.
Italia priva di posizioni di vertice in UE
L’Italia dopo Mario Draghi alla BCE e David Sassoli alla presidenza dell’Europarlamento è scoperta. Tuttavia, cresce il dubbio che le dichiarazioni di voto non siano state fedeli. In parole povere, Fratelli d’Italia potrebbe avere appoggiato sottobanco von der Leyen. Perché non esplicitamente? Meloni aveva paura della reazione furente dell’alleato leghista, fortemente contrario al bis di Ursula. E quest’ultima temeva che il voto esplicito a favore di Fratelli d’Italia avrebbe irritato sinistra e liberali, spingendo il presidente Emmanuel Macron a sabotarla. Nel 2019, ci tentò senza successo solo grazie ai voti determinanti del Movimento 5 Stelle.
Se le cose stessero così, si capirebbe la ragione per cui a Fitto sarebbero state assegnate deleghe importanti e una vicepresidenza esecutiva. La nomina dovrà passare al vaglio delle forche caudine dell’Europarlamento. In audizione la sinistra farà di tutto per affossarlo o almeno metterlo in difficoltà. Il Pd di Elly Schlein è imbarazzato. In teoria, dovrebbe ricambiare il favore ricevuto cinque anni fa, quando la destra italiana votò per Paolo Gentiloni nel nome dell’interesse nazionale. Ma la segretaria sa che una simile posizione rischierebbe di indebolirla agli occhi degli agguerriti elettori del suo partito.
Doppio gioco del Pd
Per questo motivo è assai probabile che il Pd stia giocando a boicottare Fitto dietro le quinte, spingendo i socialisti a votargli contro o a fare le barricate sul suo nome.
Che Fitto abbia l’ultima parola su dossier come fondi di coesione e riforme, è un fatto di rilievo per l’Italia. Trattasi tutti di temi sensibili per il nostro Paese. Ciò non significa, com’è ovvio, che egli sarà il difensore a spada tratta del governo italiano a Bruxelles. Dovrà interpretare le esigenze dell’intera Unione. Ciò detto, è evidente che avere un italiano che si occupi di gestione dei fondi europei sia meglio di ritrovarsi un commissario in rappresentanza di uno stato con interessi profondamente diversi o conflittuali rispetto ai nostri.
Unità nazionale su Fitto difficile, ma auspicabile
Vedremo come andrà a finire. Nel 2004 rimase vittima delle imboscate a sinistra Rocco Buttiglione, allora nominato dal governo Berlusconi. L’uomo cadde su una domanda riguardante la sua posizione verso gli omosessuali. Altre bocciature hanno riguardato nel tempo anche la Francia, per cui nulla di clamoroso se Fitto incontrasse maggiori difficoltà del previsto. I pretesti per sgambettare la sua nomina ci sono tutti, anche se il Pd, in caso di voto contrario, farebbe uno sgarbo niente di meno che al presidente Sergio Mattarella. Questi ha ricevuto nei giorni scorsi il ministro per segnalare informalmente il suo appoggio al trasloco in Commissione. L’interesse nazionale dovrebbe venire sempre prima delle beghe politiche interne. Al Nazareno, però, non lo hanno ancora appreso e si tengono sul vago.