Sono settimane difficili per il mercato delle criptovalute, a seguito dei crolli accusati dalle quotazioni. Bitcoin è sceso sotto 30.000 dollari, quando nel novembre scorso aveva toccato l’apice a 69.000 dollari. I detrattori ne stanno approfittando per segnalare come si tratti di asset rischiosi e privi di valore. Tuttavia, come ogni mercato bisogna conoscere di cosa parliamo. Partiamo dalla definizione: per criptovalute s’intendono token digitali, ossia monete decentralizzate e non fisiche. Nel caso di Bitcoin, la crypto più popolare al mondo, un algoritmo ha fissato sin dalla sua nascita nel 2009 la quantità massima di token offerti.
Bitcoin è una delle criptovalute di maggiore interesse per il fatto di essere tendenzialmente deflattiva. Man mano che la domanda cresce, infatti, l’offerta continua ad aumentare a un ritmo costante e dimezzato ad ogni “halving”. In teoria, ciò porterebbe ad un suo apprezzamento incessante. In effetti, allungando l’orizzonte temporale di riferimento scopriamo che negli ultimi 5 anni la quotazione è salita del 1.050%, cioè di 11 volte e mezzo.
Tra le criptovalute più diffuse troviamo anche Ether, che prende il nome dalla piattaforma decentralizzata Ethereum ed è utilizzata per la creazione e la pubblicazione “peer-to-peer” dei cosiddetti “smart contracts” o “contratti intelligenti”. Questi sono utilizzati per eseguire operazioni sicure, come quelle di tipo elettorale, la registrazione dei domini, legate al “crowdfunding”, ai mercati finanziari, ecc.
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Attualmente, Bitcoin capitalizza sopra 570 miliardi di dollari, Ether più di 230 miliardi.
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