Fino a pochi anni fa la Nigeria era soprannominata “stella d’Africa” o anche “Venezuela d’Africa” per captarne le potenzialità di crescita, trainata dal settore petrolifero. La seconda espressione è diventata una tragica realtà. La nazione più popolosa del continente con oltre 213 milioni di abitanti versa in uno stato di profonda crisi economica. Con un PIL pro-capite che supera di poco i 2.000 dollari, non è di certo la condizione in cui dovrebbe trovarsi questo pezzo d’Africa.
Prime riforme economiche in Nigeria
Un anno fa, Bola Tinubu trionfava alle elezioni presidenziali e poneva fine al decennio perduto sotto il predecessore Muhammadu Buhari.
Il prezzo della benzina alla pompa era mantenuto volutamente basso dal governo fino all’estate scorsa, anche perché il paese è uno dei principali produttori di petrolio al mondo. Tuttavia, il costo di quella misura risultava insostenibile: arrivato a 10 miliardi di dollari all’anno, ammontava a più del 2% del PIL e assorbiva un quinto del gettito fiscale. La soppressione di questo sussidio ha portato inevitabilmente all’esplosione dei prezzi del carburante, alimentando la già alta inflazione.
Svalutazione del cambio del 70% in un anno
Il pacchetto di riforme economiche implementato da Tinubu ha compreso altre misure fondamentali, tra cui la necessaria svalutazione del naira. Il cambio era stato anch’esso mantenuto negli anni passati artificiosamente alto contro il dollaro per tenere bassi i costi delle importazioni. Tuttavia, in Nigeria si era venuta a creare una carenza cronica di valuta estera e con essa di prodotti, tanto che lo stato aveva introdotto una lunga lista di restrizioni alle importazioni per contenere la riduzione delle riserve valutarie.
Con Tinubu alla presidenza ci sono state già due svalutazioni, l’ultima a fine gennaio scorso. In appena un anno, il naira ha perso oltre il 70% contro il biglietto verde. E anche questa misura è finita per aumentare il costo dei beni importati. Non sembra finita, perché al mercato nero un dollaro viene scambiato oggi contro 1.670 naira. Il tasso ufficiale è di 1.580,50. Il risultato è che a gennaio l’inflazione è esplosa al 29,9% e il salario minimo, fermo dal 2019, vale ormai appena 19 dollari al mese.
Nigeria con entrate fiscali risibili
La Nigeria è vittima di forti inefficienze del governo e della dilagante corruzione, oltre che delle violenze interne ad opera di gruppi paramilitari. Il precedente esecutivo si era fatto prestare dalla banca centrale ben 19 miliardi di dollari per coprire esigenze di spesa a breve termine. L’istituto glieli aveva concesso stampando moneta, ossia alimentando la spirale inflazionistica. Uno dei mali cronici del paese è la bassissima capacità di raccogliere le imposte che i contribuenti dovrebbero versare. La Nigeria risulta essere tra i paesi al mondo con le più minori entrate fiscali rispetto al PIL. In media, non più del 7%. Ma nel 2022 si è registrato un guizzo al 10,9% e l’attuale governo punta a centrare il 18% entro il 2026.
Poiché incassa pochissimo, spende altrettanto poco e s’indebita tanto, coprendo i deficit con emissioni di moneta e finendo per deprimere costantemente sia il potere di acquisto che il cambio. Il petrolio non è stato ad oggi granché di aiuto. La Nigeria produce attualmente 1,4 milioni di barili al giorno, meno della quota assegnatale dall’Opec. L’obiettivo del governo sarebbe di salire a 2,6 milioni entro il 2026. Ma le estrazioni sono oggetto di numerosi furti compiuti da Boko Haram, organizzazione terroristica di matrice islamista che si finanzia perlopiù con il contrabbando di greggio.
Maxi-rialzo dei tassi
Ieri, nel tentativo di arrestare la corsa dell’inflazione, la Banca Centrale della Nigeria ha alzato i tassi di interesse dal 18,75% al 22,75%. Tinubu sta cercando con tutte le forze di ribaltare il destino di un’economia altrimenti destinata al collasso definitivo. Austerità fiscale, stretta monetaria, liberalizzazione del cambio e clima più favorevole ad imprese e investitori sono diventati i cardini della sua svolta. Il rischio è che non faccia in tempo a mostrare i risultati, dato che la povertà in forte crescita semina malcontento e la popolazione reclama soluzioni immediate per mettere insieme pranzo e cena. Molte famiglie stanno arrangiandosi, mangiando gli scarti di riso. Ma non esiste un’alternativa, se non tornare indietro.