Si chiama “capacity market” e a partire da quest’anno inciderà sui costi dell’energia elettrica per l’industria europea. Il sistema fu messo a punto dalla Commissione europea sin dal 2019. Esso consiste nel garantire che il mercato non registri carenze di offerta nei periodi di picco dei consumi. Come? Attraverso un sistema di aste, in base al quale le società che partecipano e che sono già attive ottengono un fisso mensile per la durata di un anno. Invece, le società che partecipano e si attivano appositamente per il “capacity market” ottengono il pagamento di un fisso mensile per 15 anni.
In altre parole, l’Unione Europea punta così a potenziare l’offerta di energia per i periodi in cui si rischiano maggiormente carenze, al fine di evitare situazioni critiche come nel 2003, quando l’intera Italia e altri pezzi d’Europa rimasero al buio per un’intera giornata. Ma c’è il rovescio della medaglia, perché se da un lato lo stato paga, con l’altra mano prende. A chi? Ai consumatori di energia, vale a dire all’industria. Le imprese pagheranno un sovraprezzo di 40 euro per Megawattora in ognuna delle 500 ore fissate durante l’anno.
Come funziona il capacity market
Qual è la ratio di questa previsione? Scoraggiare la domanda nelle ore di picco, al contempo incoraggiando l’offerta. In questo modo, almeno nelle intenzioni dell’Unione Europea, i consumi si spalmerebbero più equilibratamente nell’arco dell’anno e le società elettriche sono incentivate a produrre con un mix più pulito, dato che per partecipare alle aste bisogna godere di requisiti stringenti circa il quantitativo di emissioni inquinanti. Tuttavia, in una fase come questa di crisi energetica conclamata, con i prezzi del greggio ai massimi da 7 anni e quelli del gas arrivati a decuplicare nel giro di un anno (senza contare la possibile invasione dell’Ucraina a giorni), di tutto le imprese avrebbero bisogno, tranne che di ulteriori rincari stimolati dal legislatore.
Il calendario risulta piuttosto penalizzante in questo periodo. Delle 500 ore di picco fissate, 125 si hanno a gennaio e altre 105 a febbraio. A marzo si scende a 25, mentre in aprile e maggio a 0. L’altro mese clou è agosto con 162, di fatto il meno conveniente per le imprese energivore. Tuttavia, in piena estate è possibile ridurre i consumi industriali, attraverso una diversa organizzazione del lavoro e dei livelli produttivi, come anticipare o posticipare le ferie, in modo da sfoltire agosto.
In inverno, invece, tutto questo non è possibile, per cui le imprese in questo periodo stanno decidendo se continuare attive o fermarsi per non rischiare di produrre sottocosto. Un dramma che riguarda alcuni comparti più di altri. Basti pensare alla siderurgia, con gli altiforni impossibilitati a produrre con prezzi dell’energia così alti. Sempre più difficile scaricare gli aggravi sui clienti. Peraltro, se chiudessero per qualche settimana o mese a rimetterci sarebbero le imprese clienti, cioè la generalità dell’economia. Insomma, il “capacity market” sembra la solita buona idea dell’Europa applicata in modo sbagliato e nei tempi sbagliati. Con la crisi energetica in atto, rischiamo sul serio la stagflazione, vale a dire una “gelata” di consumi e produzione associata al surriscaldamento dei prezzi.