Se ne parlava da oltre un anno e finalmente la BCE ha annunciato di avere rivisto il suo target d’inflazione dopo oltre 20 anni dalla sua nascita. Sinora, l’obiettivo della sua politica monetaria consisteva nel perseguire un tasso d’inflazione nel medio termine “vicino, ma di poco inferiore al 2%”. L’espressione risultava un po’ confusa, tanto che il board si è deciso dopo mesi di lavoro di rivedere la definizione. Adesso, l’obiettivo è più chiaramente di un 2% nel medio termine, cioè nell’arco di un anno.
Non è l’unica novità emersa dalla revisione. L’inflazione al 2% è intesa in modo simmetrico nel tempo. Questo significa che se per un certo periodo l’inflazione nell’Eurozona risulta inferiore all’obiettivo, la BCE tollererà che salga al di sopra di esso per un po’ di tempo, al fine di compensare il mancato raggiungimento del target in precedenza. E viceversa. Non è una precisazione di poco conto. Nell’Eurozona, l’inflazione giace sotto il target sin dall’inizio del 2013, cioè da oltre 8 anni. In teoria, la BCE dovrebbe tollerare tassi d’inflazione sopra il 2% per un lungo periodo di tempo.
Target d’inflazione, i dubbi dei tedeschi
Ad ogni modo, non esisterebbe alcun automatismo. A differenza della Federal Reserve, che ha formalizzato il carattere “simmetrico” e automatico del target d’inflazione, dal board di Francoforte si sollevano critiche e perplessità sul punto. Il governatore della Bundesbank, Jens Weidmann, ritiene che se la BCE si mostrasse tollerante verso una crescita tendenziale dei prezzi superiore al suo obiettivo, i mercati ne dedurrebbero che intenda tenere bassi i costi di emissione del debito dei governi nell’area. E questo rischierebbe di essere percepito come una mancanza di indipendenza dal potere politico.
All’atto pratico, la revisione del target significa che la BCE non correrà ad alzare i tassi d’interesse e/o a ridurre gli stimoli monetari (acquisti di bond, in primis) non appena l’inflazione avrà raggiunto e finanche un po’ superato la soglia del 2%.