Le azioni TIM hanno reagito molto positivamente alla vittoria netta del centro-destra di Giorgia Meloni. Lunedì, segnavano un rialzo del 6,6% a 19 centesimi. Va bene che la stessa Piazza Affari avesse chiuso la prima seduta post-elettorale con il segno positivo, ma il balzo non è passato inosservato e non pochi analisti si sono chiesti cosa vi sia stato alla base. In tanti scommettono che il boom sia stato alimentato proprio dalla netta affermazione di Fratelli d’Italia, che sulla rete TIM ha idee molto diverse da quelle messe nero su bianco dall’Amministratore Delegato, Pietro Labriola.
Giochi su rete TIM
Nel 2018, poco prima delle elezioni, il governo Renzi con Carlo Calenda ministro allo Sviluppo tentò il blitz nel capitale TIM con l’ingresso di CDP. La manovra estromise Vivendi, primo azionista con il 23,7%, dalla plancia di comando. Da allora, il management elaborò un piano per lo scorporo della rete TIM dal servizio e la successiva fusione con Open Fiber. Il punto è che manca un accordo sui termini. Vivendi reclama una cessione per non meno di 30 miliardi. Una cifra evidentemente abnorme, dato che le valutazioni indipendenti non arrivano ai 13 miliardi.
Nel frattempo, Enel è uscita da Open Fiber e la sua quota è stata acquisita per il 10% da CDP e il restante 40% dal fondo australiano Macquarie. La società non intende sborsare alcuna cifra pazzesca per la rete TIM, anche perché essa è in rame e vale relativamente poco. Il piano del governo Draghi, recepito da Labriola, consiste nello scorporo tra rete e servizio e nell’acquisizione della prima da parte di Open Fiber.
Piano Minerva di Fratelli d’Italia
Fratelli d’Italia ha un’idea diversa e apparentemente meno costosa. Il partito di Giorgia Meloni, futura premier, farebbe entrare lo stato a monte. CDP salirebbe nel capitale TIM dal 9,81% attuale. Nell’ipotesi estrema che arrivasse a detenere il 100% della compagnia e ipotizzando un premio offerto agli azionisti del 40% sui prezzi attuali, l’esborso sarebbe pari a 5 miliardi. A quel punto, TIM acquisirebbe la quota della stessa CDP in Open Fiber, stimata in 3 miliardi. Lo farebbe a debito, ma avrebbe anche modo di finanziare l’acquisizione cedendo la sua partecipazione in TIM Brasil per 3 miliardi agli attuali prezzi di mercato.
Al termine dell’operazione, con il piano Minerva lo stato nei fatti si ritroverebbe ad avere sborsato fino a un massimo di un paio di miliardi di euro. Secondo Fratelli d’Italia, poi, cedendo anche gli asset relativi ai clienti fissi e mobili, il debito netto della compagnia scenderebbe a soli 3 miliardi. Lo stato avrebbe sul groppone un maggiore debito fino a 5 miliardi, cioè i debiti netti di TIM e la spesa necessaria per salire fino al 100% del capitale. In realtà, l’obiettivo del piano sarebbe di salire fino al 40-50% e di lasciare quotata in borsa la compagnia per il restante 50-60% del capitale.
Nazionalizzazione meno costosa
Il piano di Labriola, assecondato dal governo uscente, invece, costerebbe sui 3 miliardi cash e farebbe accollare allo stato altri 17 miliardi di debito lordo. Per il partito di Meloni, sarebbe un modo per strapagare Vivendi, l’azionista francese con in mano azioni nettamente svalutate rispetto al prezzo di acquisto. Qualcuno parla di nazionalizzazione di TIM, di passo indietro nella politica industriale, sebbene il piano Minerva in sé non si discosterebbe affatto dalle finalità contenute nel piano aziendale.
Il mercato sembra avere apprezzato la vittoria del centro-destra, perché spera nel lancio di un’OPA di CDP sulle azioni TIM. Non è detto che avvenga presto. Il governo Meloni dovrebbe, anzitutto, convincere proprio la CDP, le cui cariche sono state nominate dal governo uscente e, pertanto, ne condividono le indicazioni. Dopodiché bisognerà mettere a punto il piano Minerva e serviranno possibilmente mesi. Ma sembra che la musica stia già cambiando per l’ex monopolista.