Non sappiamo se Mario Draghi andrà al Quirinale o se resterà a Palazzo Chigi e per quanto tempo. L’unica certezza che abbiamo risiede nella sua capacità di attrarre fiducia sui mercati finanziari. Lo spread oggi sarebbe verosimilmente maggiore senza di lui come capo del governo. E il costo del debito pubblico risulterebbe nettamente più alto. Nel mese di dicembre, il rendimento medio lordo ponderato dei nostri titoli di stato è salito allo 0,551%. Questo significa che se avessimo collocato tutto il debito il mese scorso, lo avremmo pagato circa mezzo punto percentuale.
Il Rendistato della Banca d’Italia ci fornisce uno spaccato molto realistico di quanto incide tendenzialmente il debito pubblico sul bilancio dello stato. La discesa dei rendimenti riguarda tutta l’Eurozona, anzi il mondo occidentale da anni. D’altra parte, però, l’Italia è passata velocemente da una crisi dello spread a costi mai così bassi per indebitarsi solo grazie a “Super Mario”. Draghi era governatore della BCE, quando nella primavera del 2014 avviò prima con gli annunci e dopo con misure concrete un forte allentamento monetario. Il cambio euro-dollaro allora sfiorava 1,40. Il rendimento medio lordo ponderato dei nostri bond superava il 2,20% e la vita media di questi era di 6,3 anni.
Debito pubblico, costo in calo grazie alla BCE di Draghi
A partire dal 2014, la BCE introdusse i tassi negativi sui depositi overnight e azzerò i tassi di riferimento. A inizio 2015, varò il “quantitative easing”. Per i BTp iniziava una nuova stagione. Durante la pandemia, il governatore Christine Lagarde ha semplicemente accresciuto l’arsenale messo già a disposizione dal predecessore, che nei fatti le ha aperto la strada al varo di nuove misure non convenzionali. Fatto sta che nel novembre scorso, il nostro debito pubblico espresso in titoli aveva una durata media di 7,12 anni, quasi 10 mesi in più rispetto alla primavera del 2014.
In pratica, se non ci fosse stato Draghi come governatore della BCE prima e premier dopo, la spesa netta per interessi sarebbe stata vicina al 5% del PIL, anziché al 3%. E stiamo escludendo che l’assenza di una politica monetaria ultra-espansiva scatenasse ulteriori tensioni a carico del nostro debito pubblico, innalzandone ancora di più il costo. C’è un neo in tutta questa vicenda: i governi che si sono succeduti negli ultimi 7-8 anni non hanno granché allungato la vita media dei bond. Avrebbero potuto approfittare dei bassi rendimenti per emettere scadenze medie più longeve e consolidare ulteriormente il debito pubblico. Da premier, Draghi è riuscito ad allungarla di 2,6 mesi. Pochi, ma questo è stato il risultato di appena 9 mesi di governo e in un contesto tendenzialmente rialzista dei tassi di mercato.