Giovedì scorso, la banca centrale turca ha deciso di tenere i tassi d’interesse invariati al 10,25%. Una mossa, che ha sorpreso un po’ tutti gli analisti, i quali si aspettavano un secondo maxi-rialzo dopo quello a sorpresa di settembre, quando il costo del denaro venne inasprito di 200 punti base per combattere un tasso d’inflazione di poco inferiore al 12%. Allo stesso tempo, il governatore Murat Uysal ha aumentato a 300 punti base il margine tra il tasso overnight, rimasto all’11,75%, e il “Late Liquidity Window” (LLW), passato dal 13,75% al 14,75%.
Bond Turchia, possibile svolta domani con il board della banca centrale
In media gli analisti intervistati da Bloomberg e Reuters si attendevano un rialzo dei tassi di riferimento nell’ordine dei 150-175 punti base. In questo modo, il costo del denaro si sarebbe almeno allineato all’inflazione. Il board di questa settimana era l’occasione per verificare i passi che l’istituto vorrebbe effettivamente compiere per riacquistare quella credibilità perduta in anni di assoggettamento ai desiderata politici. Il presidente Recep Tayyip Erdogan pretende che i tassi vengano abbassati, ritenendo che quando sono alti surriscaldino l’inflazione, una teoria diametralmente opposta al pensiero economico dominante e alle evidenze empiriche.
Spirale negativa non passeggera
La prova è andata male. Non a caso, i rendimenti sovrani a 10 anni sono aumentati tra giovedì e venerdì di 94 punti base al 13,89%, mentre quelli a 2 anni sono saliti di altri 53 al 14,02%. E male è andata anche la lira turca, che contro il dollaro è scivolata nel pomeriggio di giovedì al nuovo minimo storico di 7,98. In due sedute, ha ceduto poco meno del 2% ed è probabile che sia intervenuta la banca centrale per arrestare la caduta. Da inizio anno, il bilancio è pessimo: -25%.
Difficile immaginare che per i bond turchi vi siano prospettive positive da qui al breve periodo. La banca centrale ha confermato nei fatti di non poter perseguire una politica monetaria efficace contro l’inflazione e che possa contenere gli squilibri macro, con il deficit commerciale e corrente che galoppa e un deprezzamento del cambio che non sembra poter cessare.
Per gli investitori stranieri, che già quest’anno hanno venduti 13,4 miliardi di dollari netti tra azioni e bond turchi, questo scenario significa solo una cosa: stare alla larga dal mercato obbligazionario di Ankara. Tra lira giù e prezzi dei bond in calo per scontare l’alta inflazione attesa, per il momento i titoli di stato appaiono un investimento a perdere. E così sarà fino a quando il cambio non avrà trovato un “floor”, cosa che non è pensabile con una banca centrale così scarsamente autonoma dal potere politico.
Il collasso dei bond in Turchia ha basi sempre più solide