Terzo taglio dei tassi di interesse da parte della Banca Centrale Europea (BCE) e anche questa volta dello 0,25%. L’annuncio da Lubiana di ieri, dove eccezionalmente si è riunito il board, era stato ampiamente previsto da analisti e investitori. La sorpresa c’è stata, comunque, rispetto alle dichiarazioni di Christine Lagarde di settembre, che presagivano una nuova riduzione del costo del denaro per dicembre. Ma la crescita economica arranca nell’Eurozona. Il Pmi manifatturiero è sceso a 45 punti a settembre, così come il Pmi per i servizi a 51,4 punti.
Su crescita economica manca visione
Il taglio dei tassi serve ufficialmente per sostenere le aspettative d’inflazione nel medio-lungo periodo, visto che già a settembre la crescita dei prezzi al consumo su base annuale è scesa sotto il target del 2%. Tuttavia, un costo del denaro più basso aiuta la stessa crescita economica. Esso rinvigorisce il credito all’economia reale, favorendo consumi e investimenti. Ma la BCE è sin dalla sua costruzione una cattedrale nel deserto. Essa agisce da sola per l’intera Eurozona, mentre non esiste un governo comune.
Politica fiscale in altra direzione
La Commissione europea non lo è in alcun modo. Anzitutto, perché è l’organo esecutivo di tutta l’Unione Europea, quindi anche dei sette membri che non hanno adottato l’euro. Secondariamente, non ha i compiti e i poteri di un vero governo. Basti sapere che non gestisce direttamente le finanze degli stati e non può indebitarsi a loro nome, se non eccezionalmente come in questi anni per il Next Generation Eu.
Pensare che il solo taglio dei tassi possa ravvivare la crescita economica è ingenuo. Anche perché la politica fiscale sta andando in un’altra direzione. E’ stato reintrodotto il Patto di stabilità, pur in una versione rivisitata e confusa.
Rischi da guerra commerciale
Manca una visione d’insieme. Non si capisce come il continente possa recuperare il gap con gli Stati Uniti in termini di crescita economica. Il Rapporto Draghi esiste solo sulla carta. Non ci saranno investimenti comuni (a debito) sull’innovazione, data l’opposizione del Nord Europa. Le riforme sono abbracciate da tutti a parole, ma poi abbiamo una Germania che osteggia il mercato unico dei capitali e che fa le barricate persino contro la scalata di una banca tedesca da parte di una italiana.
Certo, il taglio dei tassi libera qualche spazio fiscale e lo mette a disposizione dei governi. Ma parliamo di qualche zero virgola, neppure certo con l’andamento così debole della crescita economica. Il peggio avverrebbe in un contesto di crisi mondiale o di guerra commerciale. Quella reale sta già mietendo fin troppe vittime e provocando danni alle economie del pianeta. L’Eurozona, però, è dipendente dalle esportazioni e se tra un Occidente a guida americana e la Cina se le dessero di santa ragione a colpi di dazi, non avremmo dove vendere i nostri eccessi di produzione.
Crescita economica solo in mano alla BCE
Ieri, il rendimento italiani a due anni sovrastava quello tedesco per meno dello 0,40% contro una media da inizio anno dello 0,54% e nell’ultimo triennio dello 0,59%. Significa che, non solo il mercato crede che i tassi scenderanno ancora, ma che ciò ridurrà ulteriormente il rischio sovrano dell’Italia. Una buona notizia per uno stato iper-indebitato come il nostro. Peccato che non arrivino anche le buone notizie sul fronte della crescita economica nell’area.