Se c’è un merito che già la nascita della Superlega può vantare è di avere acclarato la grave crisi del calcio europeo. In queste ore, governi e Commissione europea stanno affannandosi a reagire con dichiarazioni farneticanti sui “valori” dello sport e la necessità di salvaguardarli. Ma quali sarebbero questi valori? Negli ultimi 20 anni, in Italia lo scudetto lo hanno vinto solamente tre squadre, guarda caso le stesse che hanno fondato la Super League: Juventus, Inter e Milan. In Spagna, la vittoria è contesa solamente tra Real Madrid, Barcellona e Atletico Madrid.
E vogliamo parlare dei campionati rimasti esclusi dalla Super League? In Francia è dominio assoluto del PSG, in Germania da un decennio la contesa è solo tra Bayern Monaco e Borussia Dortmund. La crisi del calcio è questa, signori. Dichiarare che questo sia sport competitivo è da ignoranti o bugiardi, a seconda delle inclinazioni. La UEFA, che minaccia adesso azioni legali per 50-60 miliardi di euro contro le società che hanno aderito al progetto, è lo stesso carrozzone al centro di svariate inchieste giudiziarie per corruzione e che da decenni dimostra la sua irriformabilità.
Certo, sarebbe da ingenui pensare che la Super League nasca per risolvere la crisi del calcio europeo. No, il suo obiettivo è piuttosto chiaro: “poiché i soldi li portiamo noi, devono restare a noi”. Del resto, è il film che vediamo in Serie A a ogni asta per il rinnovo dei diritti TV. I grandi club non ne vogliono più sapere di ottenere fette piccole di una torta condivisa con le squadre “minori”. Hanno bisogno di tanti soldi per restare competitivi in Europa League e, soprattutto, in Champions League. Per restare in Italia, società come Juventus, Inter e Milan hanno grosse difficoltà a mantenere i bilanci in ordine e a disputare ad armi pari con giganti del business come Real Madrid, Barcellona, Manchester City, etc.
La crisi del calcio tra sceicchi e carrozzone UEFA
In molti casi, scontano carenze gestionali proprie; in altri, no. L’appeal di campionati come la Premier League è un dato di fatto, che deriva probabilmente da una ripartizione più equa dei diritti TV, forse anche dalla capacità degli inglesi di vendere il prodotto all’estero, specie in Asia. E qui intervengono ragioni storiche, avendo alle loro spalle una storia imperiale che l’Italia non può vantare negli ultimi secoli. Ad ogni modo, si sarebbe imposta da tempo una scelta: o tendere al modello Nba (con annesse limitazioni alle compravendite di giocatori e ai salari) o favorire proprio la nascita di una Super League dei club più ricchi e vincenti. La UEFA non ha preso posizione, limitandosi a difendere il presente. I risultati sono sotto gli occhi di tutti: centinaia di squadre europee che calcano i campi di calcio per fare da comparsa a sceneggiature già scritte e raramente smentite.
Favole episodiche come quelle dei Leicester durano il tempo di un’illusione. La crisi del calcio europeo doveva essere risolta dal Fair Play Finanziario introdotto oltre un decennio fa. Ne sono conseguite società commissariate dalla UEFA, escluse a più riprese dalle massime competizioni europee e per questo andate ancora più in crisi, nonché vergognose ipocrisie. Come quella del PSG, che si fa sponsorizzare dalle società gravitanti attorno alla stessa proprietà qatariota per centinaia di milioni di euro. La stessa UEFA ha riconosciuto che i prezzi siano stati mostruosamente gonfiati, salvo girarsi dall’altra parte.
No, non sono stati gli sceicchi a provocare la crisi del calcio in Europa, bensì chi li ha accolti a braccia aperte, limitandosi a torchiare i bilanci degli altri.