Crisi dei BRIC, valute deboli e tassi in forte rialzo. Fine del mito?

Forte aumento dei rendimenti dei titoli di stato nei paesi emergenti più virtuosi. Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica non sono più attraenti per gli investitori e il dollaro forte potrebbe innescare una nuova crisi
11 anni fa
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Anche i BRICS stanno perdendo colpi. Brasile, Russia, India, Cina e (ultimamente anche) Sudafrica, non rappresentano più un’alternativa alle economie occidentali. Investire nei mercati emergenti non conviene più. Lo dice la stampa specializzata che ogni giorno riporta numeri e statistiche in continuo aggiornamento, ma  soprattutto lo dicono i numeri, quelli degli indici azionari e dei rapporti di cambio. Real brasiliano, rublo russo, rupia indiana e randa sudafricano si sono deprezzati in maniera vistosa e preoccupante da inizio anno nei confronti di euro e dollaro, segno inequivocabile che la corsa di questi paesi è ormai finita.

Diversa la situazione in Cina dove le politiche monetarie e fiscali rimangono accomodanti. Così, se cinque anni fa i paesi emergenti rappresentavano una valida via di fuga dalla martoriata Europa che stava per entrare in profonda crisi, adesso le cose stanno rapidamente cambiando. L’Europa sta dando timidi segnali di ripresa e quantomeno la crisi sembra aver già toccato il bottom e di conseguenza i capitali che prima erano fuoriusciti stanno lentamente rientrando.

 

Troppa dipendenza dall’export e infrastrutture inadeguate deprimono la crescita

 

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I BRICS non sembrano in grado di spingere l’economia mondiale e, anzi, vivono un forte rallentamento della propria crescita dimostrata dalla bassa efficienza del sistema creditizio di fronte alla continua crescita dei prezzi del mercato immobiliare che nei paesi emergenti ha conosciuto un incredibile boom negli ultimi 10 anni. La rapida crescita della popolazione dei BRICS e l’allungamento della vita media non trova però adeguate risposte nelle politiche di welfare e i salari risultano ancora bassi rispetto al costo della vita che è cresciuto con l’urbanizzazione delle grandi regioni più popolose. Le infrastrutture sono insufficienti, soprattutto in India dove è venuta anche a mancare l’elettricità l’anno scorso a 600 milioni di persone. Cosa non dissimile in Sudafrica dove l’erogazione dell’energia elettrica va a singhiozzo in certi periodi dell’anno e l’economia è strettamente dipendente dall’esportazione di risorse minerarie.

Mentre la Russia sembra accumulare tutti i problemi derivanti dal lento passaggio al libero mercato senza che sia chiaro dove possa trovare le risorse per liberarsi una volta per tutte della sua estrema dipendenza dall’esportazione di petrolio e gas. Inoltre, in Russia è difficile fare impresa, tra l’incudine della burocrazia post-socialista e il martello del capitalismo corrotto. Le piccole e medie imprese sono poche e quelle grandi assomigliano ancora a dei pachidermi sotto il controllo statale. Tutti questi paesi, comunque, dipendono strettamente dalla domanda di materie prime dell’unione Europea e degli Stati Uniti. Così, se in un primo momento il Pil dei  BRICS è cresciuto per effetto dello spostamento e della fuga di capitali dal vecchio continente, adesso il prolungamento della crisi in Europa non è in grado di sostenere la crescita effimera di questi paesi.

 

I rendimenti dei titoli di stato a lunga scadenza sfiorano il 10%

 

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Il fenomeno è ben visibile sul mercato obbligazionario. Il rendimento dei titoli di stato è infatti in tendenziale aumento soprattutto sulla parte lunga della curva. Il bond  in dollari Russia 5,625% 2042 (Isin XS0767473852) ha perso il 25% da inizio anno e rende adesso tanto come il coupon semestrale essendo trattabile intorno alla pari. Rendimenti intorno al 9-10% si possono invece riscontrare sulle stesse emissioni governative emesse in rubli. Stesso discorso per il Sudafrica, primo paese dei BRICS ad essere scivolato in una situazione di crisi e dove, ad esempio, il bond 6,25% 2036 (Isin ZAG000030404) in rand offre un rendimento del 9,50% ma è in continua ascesa, così come per il bond Repubblica del Brasile 11% 2040 (Isin US105756AP53). Peggio le cose vanno in India, dove la rupia indiana ha perso il 18% da inizio anno (vedi grafico) facendo schizzare i rendimenti delle emissioni governative di lungo periodo al 15%.

Per l’India si parla anche di un possibile downgrade da parte delle agenzie di rating dopo i deludenti dati sulla crescita del Pil (e già la nota BBB- è la più bassa di tutti i BRIC) il che ha messo in fuga gli investitori dal paese.

 

Economia BRICS: i grandi eventi sportivi per sostenere la crescita

Fine del mito dei BRICS? Probabilmente no, ma di sicuro questi paesi non sono più in grado di sostenere la ripresa mondiale. Ne è convinto Albert Edwards di Société Générale che fa notare come tutto dipenda dalla politica dei tassi in USA e da un possibile quanto probabile rialzo del dollaro. “Qualsiasi crisi si sia vista nei mercati emergenti, è stata sempre preceduta da un rafforzamento del dollaro”. Non è un caso che circa tre mesi fa la Fed abbia iniziato a parlare di rallentamento del programma di stimolo e fine del “quantitative easing” di fronte al miglioramento del mercato del lavoro e dei consumi interni. [fumettoforumright]Pertanto – prosegue Edwards – meglio stare alla larga da questi paesi poiché un shock finanziario potrebbe arrivare da un momento all’altro, come accadde ne ’98. Come gli investitori faranno marcia indietro dai BRICS, la situazione potrebbe precipitare. Non è un caso che ultimamente si stia cercando di puntellare queste economia con l’organizzazione di grandi eventi sportivi, quali i mondiali di calcio in Sudafrica, Brasile e Russia, oltre ai giochi olimpici e ai mondiali di atletica. Eventi che dovrebbero mettere in moto risorse finanziarie. Ma fino a che punto?

Mirco Galbusera

Laureato in Scienze Politiche è giornalista dal 1998 e si occupa prevalentemente di tematiche economiche, finanziarie, sociali

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