Era l’11 agosto 2019, quando Matteo Renzi dalle colonne del Corriere della Sera apriva clamorosamente al Movimento 5 Stelle per formare un nuovo governo insieme dopo la sfiducia dal “Papeete” di Matteo Salvini al premier Giuseppe Conte. Stampa e analisti politici si affrettarono a lodarne le capacità di leadership e di rimescolamento delle carte. A distanza di poche settimane, usciva dal PD come da attese. E a distanza di 5 mesi e mezzo dalla nascita dell’esecutivo “giallo-rosso”, si mostra intenzionato a celebrarne il funerale.
Se l’incontro segreto tra Salvini e Renzi c’è stato, per dirsi cosa?
Abile politico, senz’altro. Dal nulla e senza passare per le elezioni, arrivò a Palazzo Chigi, essendosi preso in mano le redini di un partito considerato non scalabile fino al giorno prima. Alle europee del 2014, il 40,8% dei consensi ne suggellarono l’indiscussa leadership nel centro-sinistra. Di lì in avanti, il crollo. Nulla è rimasto del “renzismo”, se non Renzi stesso. Il PD viaggia nei sondaggi su percentuali dimezzate rispetto all’apice di 6 anni fa, svuotato di identità, visione, rappresentanza sociale e credibilità.
A gennaio, il fiorentino ha iniziato a bombardare il governo Conte con attacchi quotidiani aventi ad oggetto la legge sulla prescrizione. Archiviatasi la tempestosa sessione di bilancio, ha cercato di smarcarsi dagli alleati un po’ su tutto. Negli ultimi giorni, è arrivato a chiedere alla maggioranza la cancellazione del reddito di cittadinanza e di quota 100 come condizione per continuare a sostenere il governo. In molti vi leggono l’intenzione di alzare il prezzo così alto da rendere inevitabile una rottura. A che pro? Nel caso di elezioni anticipate, sempre che il Quirinale le concedesse o che Palazzo Chigi non trovasse in Parlamento una nuova pattuglia di “responsabili” – alias, di attaccatissimi alla poltrona – non sarebbero certo questi i temi per sperare di passare all’incasso sul piano dei consensi.
La crisi del governo Conte non colpisce i BTp, perché e fino a quando?
Renzi non convince
Lo stop alla prescrizione del ministro della Giustizia, Alfondo Bonafede, è una riforma pessima, dannosa, incivile e scritta con i piedi, ma non può costituire il terreno di battaglia per decidere se staccare la spina o meno all’esecutivo. Italia Viva rischierebbe di passare tra gli elettori, al contrario, come il partito difensore dei disonesti. La sfiducia al ministro, se Renzi davvero la presentasse, sarebbe un atto politico incompatibile con la sua permanenza nella maggioranza. E pensare di cavalcare il consenso solamente dotato delle armi contro reddito di cittadinanza e quota 100 appare obiettivamente una ingenuità, per dirla pulita. A rendersene conto sembra essere lo stesso Renzi, che minaccia e un attimo dopo quasi corregge il tiro. Se Salvini nel cercare di mandare a casa Conte aveva dalla sua un consenso del 34%, quello incassato alle europee del maggio scorso, Renzi per i sondaggi non andrebbe oltre il 4% nell’ipotesi migliore.
E nelle ultime settimane, anziché crescere, Italia Viva arretra. Dunque, quale sarebbe la vera intenzione di Renzi? Andare alle elezioni anticipate gli permetterebbe forse di mettersi un po’ al centro del palcoscenico, ritagliandosi il ruolo dell’anti-grillino nell’area di centro-sinistra. Ma quanto risulterebbe credibile, essendo stato egli stesso a consentire il bis di Conte a Palazzo Chigi? E di questo passo, stritolato da un centro-destra sempre più forte e un PD in ripresa, rischia l’umiliazione del mancato superamento del quorum del 3%. Farebbe la fine di Gianfranco Fini nel 2013, che da protagonista anti-berlusconiano si trasformò in fretta nel più abile suicida politico che la storia repubblicana ad oggi ricordi.
Se Renzi non puntasse alle elezioni anticipate, probabilmente ambirebbe a un nuovo governo con un premier diverso. Perché e con quali numeri? Conte rappresenta per lui un avversario temibile come papabile candidato premier del centro-sinistra, per cui bisogna azzopparlo quanto prima. Tuttavia, non si vede chi dovrebbe reggergli il gioco nella maggioranza e in parte delle opposizioni. Oggi, se Nicola Zingaretti rovesciasse il tavolo e andasse al voto, Renzi sarebbe forse politicamente finito. Parte dei suoi stessi uomini, come si vocifera malignamente, sarebbe già pronta a voltargli le spalle per amor di poltrona. Italia Viva non si mostra in grado di garantire alcun seggio.
A rischio la sopravvivenza politica
Difficile, pur non impossibile, che le tensioni di queste settimane riguardino solamente la spartizione delle centinaia di cariche dirigenziali nelle società partecipate dallo stato, in scadenza questa primavera. Che Renzi, dopo avere fatto nascere il Conte-bis, non si accontenti di pesare per il 3-4% nella scelta delle nomine sembra lapalissiano, ma che stia quasi provocando una crisi di governo solo per questo non convince. L’alternativa per lui non sarebbe pesare di più in quell’establishment societario e finanziario che tanto lo ha coccolato fino a qualche tempo addietro, bensì di sparire letteralmente dalla scena politica.
Il personaggio Renzi sembra essere finito in un vicolo cieco. Non è abituato a recitare la parte del junior partner di una coalizione, meno che mai ad essere percepito a capo di un partito insignificante nei numeri. Per questo sbraita, ma senza individuare un tema che possa rilanciarlo nei consensi. Avendo recitato il copione del politico “anti-populista”, oggi non riesce a trovare una proposta popolare e al contempo credibile. E dovendosi smarcare dagli alleati di governo, non può replicarne l’offerta politica. Rischia di passare alle cronache come il signor “vorrei, ma non posso”, di essere neutralizzato da un eventuale passaggio in maggioranza di “responsabili” forzisti o, ancora peggio, di essere sbeffeggiato e ignorato da grillini e piddini, consapevoli che il coraggio di compiere il passo estremo egli non possa permetterselo.
Peccato che questo teatrino indecente stia avvenendo ancora una volta sulla pelle degli italiani, la cui economia ristagna e si teme finisca in recessione quest’anno, anche a causa della debole congiuntura internazionale. Non si mostra credibile alcuna agenda economica e riformatrice con queste divisioni laceranti nello stesso governo (quelle tra 5 Stelle e PD sono non meno insanabili e vengono ricomposte solo per evitare il giudizio popolare) e in questo clima non si creano certo i presupposti ideali per i partiti della maggioranza per ampliare l’area del consenso. Anzi.