La faccia, le parole e i toni del presidente Sergio Mattarella, al termine delle consultazioni, ieri sera lasciavano trasparire tutta l’irritazione per un giro di incontri sostanzialmente inconcludente. Il capo dello stato non poteva essere più esplicito, quando nell’assegnare ai partiti altri 5 giorni per chiarirsi le idee ha fatto presente che o alle prossime consultazioni sarà presentato un accordo chiaro sulla formazione di un governo politico o scioglierà le Camere e indirà elezioni anticipate. Mattarella era irritato, si è sentito giustamente preso in giro da protagonisti dalla doppia e tripla parola, che uscendo dal Quirinale gli hanno lasciato il pallino della crisi di governo.
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E’ stato fantastico, se non fosse al contempo tragicomico, avere sentito dichiarare ieri pomeriggio, ad esempio, Matteo Salvini che “se i no diventano sì”, il ragionamento con il Movimento 5 Stelle può continuare, perché “Luigi Di Maio ha lavorato bene”. Questo, dopo avere indicato il voto quale “via maestra” per la Lega. Più parlava e più cresceva il naso a vista d’occhio al ministro dell’Interno, che semmai ha spezzato una lancia in favore del dialogo con i grillini per evitare lo scenario a lui più inviso, quello di un accordo tra M5S e PD per formare il nuovo governo.
Lo stesso Di Maio ha tenuto un comizio dopo il colloquio con il presidente. I 10 punti programmatici lanciati a chi ci sta appaiono un libro dei sogni. Mancava la pace nel mondo e dopodiché sarebbe sembrato a tutti gli effetti il discorso d’investitura di Miss Italia. Nessuna indicazione concreta sulle trattative in corso per trovare quella “maggioranza solida” di cui ha fatto accenno al termine dello sproloquio. Ma se ti vergogni a citare la parola “PD”, come pensi di poterci imbastire un governo? In teoria, avrebbe potuto fare appello anche a Casa Pound, tanto vuote e generiche sono apparse le sue parole.
Zingaretti e Di Maio divisi sul taglio dei parlamentari, e non solo
E la giornata era iniziata politicamente frastornata con Nicola Zingaretti, il segretario dem, che se fosse per lui avremmo votato ieri pomeriggio in spiaggia e in apposite cabine da mare. Invece, come gli altri due principali protagonisti della più pazza crisi di governo della storia recente, ha inviato messaggi volutamente ambigui. Sì alla trattative con i 5 Stelle, ma subordinatamente a 3 condizioni non negoziabili. Quali? Niente taglio dei parlamentari, cancellazione dei due decreti sicurezza e previa intesa sulla manovra finanziaria. Un po’ come chiedere a un acquirente di firmare un contratto di compravendita dopo essere uscito in strada nudo e con addosso il cartello “sono scemo”.
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Zingaretti vorrebbe tornare ad elezioni per liberarsi dei renziani, che tra i parlamentari restano netta maggioranza. Sa che probabilmente le perderebbe, ma almeno si terrebbe il partito. Teme che Matteo Renzi voglia l’accordo con l’M5S solo per organizzare un suo partito o per avere il tempo di impadronirsi nuovamente del PD, dopo staccherebbe la spina al governo e lascerebbe lui e la sua squadra in mezzo a una strada. Salvini chiaramente vuole il voto per capitalizzare l’alto consenso assegnatogli da sondaggi, che si tradurrebbe in solida maggioranza parlamentare anche grazie all’alleanza con Fratelli d’Italia e Forza Italia. Finge di sentirsi interessato ancora ai grillini solo per sabotare le loro trattative con il PD.
Infine, Di Maio. Non può andare ad elezioni, perché rischia il massacro elettorale; non gli è facile nemmeno allearsi con il PD, perché la base sta già inveendo contro quella che percepisce essere un’alleanza contro natura; infine, tornerebbe a sedersi con Salvini solamente in un caso: se questi gli concedesse la poltrona di premier.
Conta solo l’interesse personale
Chi parla di evitare la stangata dell’IVA, di rimettersi agli italiani per spirito democratico o ipotizza soluzioni istituzionali per il sempiterno “bene del Paese” vaneggia volutamente. L’unico ragionamento che Salvini, Di Maio e Zingaretti stanno compiendo in questi giorni riguarda lo scenario a loro più congeniale per il prossimo futuro. In due casi su tre sarebbe quello delle elezioni, in uno la prosecuzione della legislatura. Di mezzo c’è il presidente Mattarella, consapevole di avere a che fare con politici cinici, dalla parola vacua, inaffidabili, che si faccia o meno un governo.
E a lui va un plauso per averli stanati, non proponendo alcun nome di un potenziale premier, cosa che avrebbe tolto ai partiti le castagne dal fuoco, deresponsabilizzandoli. Dovranno essere i leader con le loro facce a dire agli italiani cosa vogliano e cosa non vogliano fare. Il gioco delle 3 carte è durato anche troppo e gli italiani non si stanno affatto divertendo, anche se per loro fortuna seguono in gran parte il teatrino dai lidi.
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