I dati sul pil nell’Eurozona nel secondo trimestre sono stati complessivamente discreti: +0,3% rispetto ai primi tre mesi dell’anno e +1,6% su base annua. Il rallentamento rispetto al primo trimestre c’è stato (+0,6% e +1,7% rispettivamente), ma la ripresa non sembra essere svanita. Eppure, il dato è in sé tutt’altro che rallegrante, perché sintesi di situazioni nazionali molto diverse tra di loro.
L’economia tedesca è cresciuta nello stesso frangente dello 0,4% congiunturale e dell’1,8% tendenziale dal +0,7% e +1,9% del primo trimestre. Anche per la locomotiva d’Europa c’è stato, quindi, un rallentamento, ma quasi impercettibile e si pensi anche che, tenendo conto dei prezzi, la crescita annualizzata sarebbe stata del 3,1%, la più alta degli ultimi 5 anni, secondo l’istituto federale di statistica Destatis.
Crescita Eurozona è disomogenea
A fronte di questo mini-boom, la Francia si pone in una condizione intermedia: crescita congiunturale azzerata e dell’1,4% annuo. Ma è la terza economia dell’area a stupire negativamente: l’Italia ristagna sui primi tre mesi dell’anno e rallenta la sua crescita tendenziale dal +1% al +0,7%. Tra le altre principali economie, la crescita si conferma robusta in Spagna e Olanda.
Il quadro si evolve, quindi, nella direzione problematica di una crescente differenziazione all’interno dell’unione monetaria. A questi ritmi, non solo la Germania detiene il record minimo di disoccupazione dai tempi della riunificazione, ma cresce a livelli abbastanza soddisfacenti e avendo già centrato l’obiettivo del pareggio di bilancio. Berlino, se fosse un’economia a sé, slegata dal resto dell’Eurozona, non avrebbe più bisogno di stimoli monetari, se mai ne abbia avuto la necessità. Anche i prezzi interni si stanno surriscaldando, anche se l’inflazione resta ancora molto bassa (+0,4% a luglio).