Rendimenti bond tranquillizzano governi spendaccioni
Un paio di anni dopo, sempre Draghi punta a irrobustire la ripresa economica dell’Eurozona e i prezzi, varando i primi stimoli monetari, che all’inizio dello scorso anno hanno lasciato il posto a un più ampio programma, noto come “quantitative easing”. Da allora, i rendimenti sovrani sono letteralmente crollati e buona parte di essi risultano scesi in territorio negativo (l’80% dei Bund), con il risultato di quasi azzerare il costo di rifinanziamento del debito a carico degli stati.
Persino quell’Italia sotto attacco finanziario nel 2011-2012, quando i fondamentali erano migliori di quelli odierni, oggi si permette il lusso di emettere BoT con rendimenti negativi, ovvero gli investitori arrivano a pagare il nostro Tesoro per comprarsi i suoi titoli.
La scommessa persa di Draghi
Nelle intenzioni di Draghi, il QE sarebbe dovuto servire a far guadagnare tempo ai governi, consentire loro di fare le riforme con calma, sostenendo la ripresa delle rispettive economie, in grado così di resistere alla successiva normalizzazione delle condizioni sui mercati. Come aveva avvertito e continua a fare la Germania, però, è accaduto esattamente il contrario, ovvero che in assenza di segnali derivanti dal mercato, i governi si siano convinti di potersi permettere qualsivoglia politica fiscale e di rinviare a tempi futuri le riforme più impopolari.
D’altronde, quando uno stato riesce ad emettere titoli con rendimenti negativi, sostanzialmente guadagnando dall’indebitamento, non si capisce perché mai debba mostrarsi rigido sul piano fiscale, consapevole che l’elevata domanda di bond per effetto degli acquisti della BCE non verrà meno con una maggiore flessibilità nella gestione dei conti pubblici.