A leggere i dati sul Pil sembrerebbe che l’economia russa stia andando abbastanza bene. Per quest’anno le più recenti stime di crescita parlano di un +3,9% dal +3,6% del 2023. L’Eurozona dovrebbe fermarsi sotto l’1% e persino gli Stati Uniti farebbero peggio con una stima del 2,7% per S&P. Ma né questi numeri, né i toni trionfali costantemente sfoggiati dal presidente Vladimir Putin riescono più a celare la crisi russa in corso.
Crisi russa, rublo al collasso
In meno di un anno e mezzo, la Banca di Russia ha dovuto aumentare i tassi di interesse dal 7,5% al 19%.
Un deprezzamento del 45%, che chiaramente aumenta il costo delle importazioni e si riflette sui prezzi al consumo. Non solo. Le sanzioni finanziarie e commerciali dell’Occidente hanno tagliato la Russia fuori dai mercati internazionali. E’ vero che stia riuscendo a sfuggire a gran parte di esse tramite triangolazioni commerciali con paesi come l’Azerbaijan, ma ciò ha un costo. Cosa ancora più grave, a Mosca non arrivano più dollari (ed euro, ecc.).
Tassi su, ma stato a corto di dollari
Se ci pensate bene, ora che i tassi di interesse stanno salendo e in Occidente stanno scendendo, ci dovrebbe essere la fila di investitori stranieri per acquistare titoli del debito russo.
Ok, ma allora come si spiega la crisi russa se l’economia cresce, mentre da noi arranca e la Germania è in recessione? Due paroline magiche: spese militari. Il governo ha presentato alla Duma il budget per il 2025, che prevede un aumento di questa voce di bilancio del 25% a 13.500 miliardi di rubli (oltre 140 miliardi di dollari). Sommando la spesa per la sicurezza, arriviamo a 17.000 miliardi di rubli (177 miliardi di dollari), l’8,1% del Pil. Sarà un importo pari a circa un terzo dell’intera spesa pubblica stimata. E gli stanziamenti a favore dello stato sociale si ridurranno del 16%, passando da 7.700 a 6.500 miliardi di rubli (67,50 miliardi di dollari).
Russia economia di guerra
La Russia è un’economia di guerra bella e buona. Più cannoni e meno burro. La sua spesa militare ammontava a 66 miliardi di dollari nel 2021, anno precedente all’invasione dell’Ucraina, qualcosa come il 3,7% del Pil. Dunque, da allora è praticamente più che raddoppiata. Ciò sta sostenendo la crescita economica, ma al costo di privare gli altri settori delle risorse necessarie per produrre beni e servizi necessari a soddisfare le esigenze primarie della popolazione. Anche perché tutto il personale militare è salito a 2,4 milioni di unità. Braccia sottratte all’agricoltura e alle fabbriche. Le imprese non trovano manodopera, specie qualificata, e sono costrette a limitare la produzione.
Le riserve valutarie ammontavano a 630 miliardi di dollari poco prima dell’inizio della guerra, mentre adesso sono di 614 miliardi, inclusi i circa 300 miliardi “congelati” in Europa e Nord America. Sottraendo i quasi 190 miliardi di dollari in oro a fine agosto, a disposizione vi sarebbero realmente poco più di 100 miliardi.
Crisi russa accorcia l’orizzonte temporale bellico
A queste condizioni non è insensato affermare che Putin non possa permettersi di proseguire a lungo la guerra. Sul campo di battaglia, le incursioni ucraine nel suo territorio hanno arrestato le vittorie delle truppe russe dopo mesi di avanzata trionfale. Ma il vero nemico è finanziario per il Cremlino. I rubli languono, il cambio sprofonda, la produzione resta al 60% della capacità massima, l’inflazione sale e i tassi anche. La crisi russa è diventata il grande alleato di Kiev, perché costringe il nemico ad accorciare i tempi dell’operazione bellica, spingendolo anche a commettere errori sul fronte. La data chiave resta il 5 novembre, giorno in cui sapremo se Putin dovrà vedersela con Donald Trump o con Kamala Harris.
Gentilissimo Signor Timpone, grazie per il suo articolo. Mi permetta di esprimerle il mio forte dubbio sulla correttezza dell’analisi economica che lei ha fatto nel suo articolo.
Trovo estremamente più attinente e verosimile invece, quanto analizzato in quest’altro articolo, di cui allego il link:
https://scenarieconomici.it/la-crescita-russa-sta-rallentando-linteressante-analisi-di-jacques-sapir/
Sono d’accordo. Un’analisi sicuramente più dettagliata ed approfondita.
Prima sono finiti i calzini, poi sono arrivate le pale da combattimento a cui hanno fatto seguito le palle sulla salute di Putin e, adesso, i rubli sono finiti. Signor Timpone pensi come gli americani: come esistono le CDBC americane così esistono le CDBC russe. Al massimo si stampa moneta come fanno gli americani.
D’accordo pienamente con chi ha commentato prima di me. La sua analisi o è ingenua e poco informata o ci fa. Se non è ben informato però sarebbe bene che la smettesse di pubblicare notizie false.