La crisi dello spread in Francia come altrove è sempre un fatto politico

La crisi dello spread in Francia non è esplosa in un momento a caso, ma conferma che si sia sempre trattato di un fatto politico.
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Crisi dello spread fatto politico
Crisi dello spread fatto politico © Licenza Creative Commons

La stella di Emmanuel Macron si è eclissata da un po’. Le elezioni anticipate di giugno/luglio sono state il suo canto del cigno. La furbizia di avere impedito tramite accordi elettorali (“desistenze”) nei collegi la vittoria di Marine Le Pen non gli è servita a nulla. Anzi, ora che il governo si trova a fronteggiare una crisi dello spread umiliante, egli può esserne considerato a tutti gli effetti l’unico responsabile del disastro.

Crisi spread e nuova Commissione

L’azzardo di allearsi con la sinistra per fermare la destra per poi nominare un governo contro la sinistra e appoggiato sottobanco dalla destra è stato un giochetto che i mercati finanziari non gli stanno perdonando.

All’estero non è andata meglio. Macron tifava apertamente per Kamala Harris ed è finita come sappiamo. A Bruxelles puntava ad estromettere l’Italia da una posizione di vertice nella Commissione europea e ne è uscito con le ossa rotte. Ursula von der Leyen ha ricevuto ugualmente il bis, pur senza il sostegno dei socialdemocratici del cancelliere Olaf Scholz e con un appoggio tiepido dell’Eliseo.

Conti pubblici francesi sotto stress

Nello stesso giorno in cui accadeva, lo spread Oat-Bund saliva a 90 punti base o 0,90%, ai massimi dal 2012. I rendimenti francesi raggiungevano e superavano quelli greci, inizialmente sul tratto della curva a 5 anni e dopo anche dei 10 anni. Umiliazione completata per i galletti. Vi sembra casuale che la crisi dello spread sia esplosa in tutta la sua nitidezza in coincidenza con il debutto della nuova Commissione? Forse lo è, forse c’entrano più che altro le tensioni politiche a Parigi, dove il governo rischia di avere le ore conte. Di certo, però, a Bruxelles è andato in scena simbolicamente quanto i mercati stanno strombazzando da diversi mesi: la fine dell’eccezione francese.

I conti pubblici francesi non sono allo sbando da ora, bensì sin dalla lontana crisi mondiale del 2008-’09.

Preistoria. Il debito pubblico da allora è balzato di 45 punti rispetto al Pil. Il tanto bistrattato debito italiano è salito nel frattempo di 30 punti. Partiva da un livello ben maggiore, ma sta di fatto che le distanze tra Roma e Parigi si sono accorciate dai 40 punti del 2007 ai 25 del 2023. Solo che l’Italia è stata scaraventata in serie B tra gli emittenti sovrani, mentre la Francia è rimasta sorprendentemente in Premier League. E questo non ha avuto alcun senso, almeno ragionando in termini squisitamente economici.

Asse franco-tedesco decise la crisi italiana

Ma la crisi dello spread che travolse nel decennio passato il Bel Paese e i governi che lo hanno guidato nel tempo, non è stata mai un fatto puramente legato alla contabilità pubblica. Si è trattato di un fatto politico. Il governo Berlusconi cadde poco dopo che lo spread impazzì fino all’apice dei 576 punti base agli inizi di novembre del 2011. Poco prima c’erano state le risatine di derisione di Angela Merkel e Nicolas Sarkozy in conferenza stampa. La prima, che adesso si ricicla come scrittrice smemorata (e per chi pretende di pubblicare in diverse lingue le sue memorie, non è per nulla un complimento), nei fatti aveva mollato l’Italia e sollecitava un “regime change”. Il secondo arrivò a reclamare le dimissioni dal Cavaliere esplicitamente, perché temeva che il contagio finanziario sarebbe arrivato fino a Parigi.

Perché i francesi poterono continuare a spendere e spandere come niente fosse, nonostante l’intero Sud Europa fosse in fiamme? Godevano della fiducia dei mercati, in quanto gestori insieme ai tedeschi di quella baracca chiamata Unione Europea. Sgangherata quanto vogliamo, ma pur sempre accentratrice delle politiche dei governi nazionali. A Bruxelles si decidono i debiti “buoni” e quelli “cattivi” e a Francoforte i tassi a cui vanno finanziati. Controllare entrambe è sempre stato determinante per ricevere il gradimento dei mercati.

E l’Italia nel 2011 si ritrovò una Commissione ottusamente ostile, guidata dal tragico portoghese José Barroso, e una Banca Centrale Europea (BCE) visibilmente agguerrita con Roma, in mano al francese Jean-Claude Trichet.

Francia perde potere politico

Ricordiamo tutti la lettera della BCE inviata al governo Berlusconi, che ne decretò sostanzialmente la fine. La Francia oggi non controlla più la Commissione, la quale si è spostata a destra in virtù delle ultime elezioni europee e per sintonizzarsi meglio con la prossima amministrazione Trump. Ha ancora la guida della BCE con Christine Lagarde, ma è il segreto di pulcinella che, date le sue limitate conoscenze delle dinamiche economiche, ella non possegga l’autorevolezza sufficiente per imporre alcunché al board. Sin dal suo insediamento nel 2019 ha deciso di ritagliarsi il ruolo di “consensus builder”, anziché di leader in stile Mario Draghi. E nei fatti Lagarde non dispone di una sua maggioranza in consiglio.

Cosa ancora peggiore, l’asse franco-tedesco non conta una mazza. Quando Macron alza la cornetta, a Berlino gli risponde un cancelliere già sfiduciato e senza capacità di leadership all’estero. La Francia ha così perduto in fretta il potere politico, che sino a pochissimo tempo fa le consentiva di evitare una qualche crisi dello spread. E ora i mercati pretendono da essa che faccia esattamente le cose che Parigi pretendeva facesse l’Italia in fretta e furia, ossia tagliare il deficit e il rapporto tra debito e Pil. E così come l’Italia non fu in grado di perseguire l’agenda riformatrice fino in fondo, a causa dell’instabilità politica, neanche la Francia ci sta riuscendo. Anzi, alle prossime elezioni le probabilità che Le Pen arrivi al governo o direttamente alla presidenza sono elevate. I suoi avversari si sono tutti suicidati con giochetti di potere patetici.

Crisi spread francese occasione per l’Italia

Chi la fa, l’aspetti. I proverbi ci vedono lungo.

Non c’è nulla di cui gioire della crisi dello spread francese. L’Italia avrebbe bisogno, ora che ha ritrovato una sua stabilità interna, che tutto quanto intorno a lei fosse il più stabile possibile. Ma è innegabile che le parti in commedia si siano ribaltate. La premier Giorgia Meloni sta acquisendo un’insperata centralità politica in Europa, che le deriva dalla sua possibile funzione di anello di congiunzione tra Bruxelles e Washington. E’ considerata sufficientemente europeista per poter avere la fiducia della Commissione, la cui elezione si deve ai voti determinanti di Fratelli d’Italia, nonché sufficientemente atlantista da attirarsi il gradimento del prossimo governo americano. Non a caso il premier francese Michel Barnier ha dichiarato nei giorni scorsi che l’Italia andrebbe coinvolta nell’asse franco-tedesco e che la sua prima visita all’estero sarà a Roma per incontrare la premier italiana che stima. Sintomatico di cosa sia già accaduto in pochi mesi. E questo prima o poi si potrà riflettere anche sul nostro spread, che ancora resta scriteriatamente il più alto di tutta l’area.

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Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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