E’ bastato l’annuncio di una proroga di due settimane per portare in banca le banconote da 100 bolivar, che il governo metterà definitivamente fuori corso legale dal prossimo 3 gennaio, che al mercato nero il dollaro ha rialzato la testa del 10% in poche sedute, dopo essere sceso del 40% in appena una settimana, a seguito dell’assenza di liquidità in Venezuela. La crisi è diventata spaventosa; non si trova di nulla nei negozi da tempo, ma adesso non c’è nemmeno la possibilità di comprare quel poco che anche si vende, non essendosi abbastanza bolivar in circolazione.
Le riserve valutarie sono bassissime, pari ad appena 11 miliardi di dollari, insufficienti a consentire a Caracas di importare beni dall’estero, così come a onorare tutte le scadenze sul suo debito sovrano. Per quanto ci si attenda una risalita dell’ingresso di dollari nei prossimi mesi, grazie alle maggiori quotazioni del petrolio, il calo della produzione interna potrebbe più che compensare tale miglioramento atteso. In ogni caso, qualche dollaro in più non segnerebbe la svolta nell’economia venezuelana. (Leggi anche: Venezuela, banconote 100 bolivar valide al 2 gennaio)
Perché il default nel Venezuela non arriva?
In un qualsiasi altro paese, il governo dichiarerebbe default, un evento traumatico, ma sempre meglio di portare allo stremo fisico la popolazione, costretta a sobbarcarsi anche il peso di svariate ore di fila al giorno per fare la spesa e che da settimane non riesce più ad avere sufficiente denaro contante per gli acquisti.
Come mai, proprio il governo “chavista” di Nicolas Maduro, che si rifà ai cardini del pensiero economico socialista, sembra ossessionato dalla paura di dichiarare default? Non dovrebbe preferire una ristrutturazione del debito pubblico, anziché imporre a 30 milioni di cittadini restrizioni economiche inaccettabili? (Leggi anche: Default Venezuela evitato ancora, ma rischio esplosione della crisi)