Cristiano Ronaldo ha fatto la storia, ieri. Indossando la maglia del Portogallo contro l’Ungheria a Euro 2020, l’attaccante juventino ha realizzato 2 reti, salendo a un totale di 11 nei suoi 5 tornei europei di calcio. Un record. Subito dopo la partita, ha partecipato a una conferenza stampa a Budapest e sul tavolo aveva di fronte due bottigliette di Coca Cola. La sua reazione è stata stizzita: le ha tolte immediatamente con la mano e ha chiesto che al loro posto gli fosse portata una bottiglietta d’acqua (“acqua, non cola”), cosa che è avvenuta prontamente.
A seguito di questo evento, le azioni Coca Cola sono scese dell’1,6%, scendendo a 55,22 dollari. E ieri, il titolo è sceso di un altro 1% a 54,67 dollari. In termini di capitalizzazione, la società ha perso 6,4 miliardi. La UEFA è corsa ai ripari, notando come lo sponsor di Atlanta sia prezioso per consentire alla più grande manifestazione di calcio europeo di avere luogo e ricordando che abbia “una lunga tradizione a sostegno di tutti gli sport”. Coca Cola è sponsor ufficiale della UEFA sin dal 1988. Da parte sua, la società si è affrettata a comunicare che ai calciatori in conferenza stampa venga offerta anche l’acqua, oltre alla Coca Cola classica e a quella senza zucchero.
Ma c’è un precedente imbarazzante per il 5 volte Pallone d’Oro. Nel 2009, prestò la sua immagine proprio per Coca Cola sul mercato asiatico. Di seguito, vi proponiamo il video che dello spot:
Vi chiederete come sia possibile che il titolo abbia perso così tanto per un incidente, tutto sommato, apparentemente innocuo. Invece, il caso è stato potenzialmente grave per la società. Cristiano Ronaldo è un rinomato salutista. Non beve alcolici, né bevande gassate. Su Instagram ha 299 milioni di follower. Dovete solo sapere che il suo post pubblicato dopo la partita contro l’Ungheria ha raccolto 3,5 milioni di “mi piace”. E in un’economia dell’immagine come la nostra, un episodio del genere lascia il solco; in negativo, s’intende.
Non solo Cristiano Ronaldo
Un paio di mesi fa, Tod’s annunciò che Chiara Ferragni avrebbe fatto parte del consiglio di amministrazione. Il titolo da allora guadagna più dell’88%, qualcosa come circa 840 milioni di euro di maggiore capitalizzazione. Tutto merito dell’influencer? In buona parte, sì. La giovane donna vanta un business plurimilionario, grazie ai suoi 23 milioni di follower sul social, prima in Italia. Arruolarla nel board sembra essere stata una mossa astuta per migliorare l’immagine del brand, specie per potenziarne l’appeal tra il pubblico più giovane e quello femminile.
L’economia dell’immagine è quel fenomeno, per cui da settimane molte multinazionali cambiano il rispettivo logo con i colori arcobaleno per aderire al Pride Month, cioè a sostegno della comunità LGBTQIA in tutto il mese di giugno. Una promozione, almeno a parole, ai diritti degli omosessuali nel mondo. Peccato che si è scoperto che questi cambiamenti siano avvenuti solamente sui siti occidentali, non anche nelle aree di Asia e Africa in cui ancora oggi l’omosessualità è spesso reato e punita persino con la pena di morte. Insomma, hanno strizzato l’occhio all’opinione pubblica già convinta, non stanno affatto cercando di promuovere alcun diritto laddove sia negato.
Questo è quello che ci insegna il caso Coca Cola di Cristiano Ronaldo. In altri tempi, la società avrebbe probabilmente emesso un comunicato di fuoco contro un giocatore che si fosse permesso di rimuovere un prodotto che fa da sponsor alla manifestazione a cui partecipa. E ne avrebbe avuto pieno titolo. Ma nell’era dei social, non ci si può permettere di parlare chiaro.