Il crollo di Wall Street di oggi e le similitudini con l’America del 1987

Il crollo di Wall Street di questi giorni ricorda il precedente del 1987. Ci sono molte similitudini con allora. Vediamole e guardiamo anche alle differenze.
7 anni fa
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Lo chiamano “flash crash” per dare un senso a quei crolli improvvisi e della durata temporale molto limitata, nel corso dei quali gli indici azionari, così come cross valutari o bond, registrano un tonfo. E’ accaduto anche ieri, quando l’indice Dow Jones di Wall Street ha ceduto per 15 minuti circa 1.600 punti rispetto alla chiusura di venerdì scorso, il calo più pesante mai avvenuto sulla borsa americana in valore assoluto. In ogni caso, il ripiegamento delle quotazioni a New York non è solo frutto di crash improvvisi e dettati dalla tecnologia, perché è un dato di fatto che rispetto ai massimi di sempre toccati a gennaio, il Dow Jones abbia perso già il 10%.

Non siamo ancora nell’orso e non è nemmeno detto che si arrivi a tal punto. Nulla farebbe immaginare vendite generalizzate protratte nel tempo, anche se certamente i prezzi dei titoli hanno corso moltissimo e per molto tempo.

Mentre il mondo s’interroga sul senso di quanto stia accadendo in borsa, la mente non può che tornare indietro di poco più di 30 anni ed esattamente a quell’ottobre del 1987, che tante similitudini presenta con questo inizio di 2018. L’amministrazione di Ronald Reagan era al suo penultimo anno e dopo avere battuto l’inflazione alzando i tassi, grazie alla politica monetaria restrittiva del democratico governatore Paul Volcker, nominato dal predecessore Jimmy Carter e riconfermato dallo stesso presidente repubblicano nel 1983, decideva di affidare la Federal Reserve a un nuovo volto, che fu per quasi un ventennio quello di Alan Greenspan.

Accadde allora che per ragioni mai accertate, Wall Street piombò nel panico il 19 ottobre di quell’anno (era un lunedì, come ieri!), con il Dow Jones a perdere il 22,6% in una sola seduta, cosa che non era accaduta nemmeno nel lontano 1929, quando il crollo azionario diede vita alla Grande Recessione. Non vogliamo approfondire in questa sede le cause del crollo, di cui abbiamo discusso in un nostro articolo sulla ricorrenza dei 30 anni del crash, ma ci concentriamo più che altro sulle similitudini con la realtà di allora.

L’economia americana era in boom e cresceva a ritmi medi di quasi il 4% all’anno, dopo avere iniziato il decennio in recessione, che costò la poltrona a Carter. La disoccupazione era scesa in pochi anni dall’11% al 7% e l’inflazione era crollata dalla doppia cifra del 1981 al 3,6% di sei anni dopo, ma proprio nel 1987 segnalava già una decisa accelerazione, passando dall’1,5% di gennaio al 4,4% di settembre, mese precedente al crollo di Wall Street. In effetti, l’anno seguente sarebbe salita mediamente al 4,1% e fino a raggiungere il 5,4% nel 1990. (Leggi anche: 19 ottobre 1987, cause del crollo del lunedì nero di Wall Street)

Il confronto con oggi

Anche il pil stava accelerando, passando dal +3,5% del 1987 al +4,2% dell’anno successivo, mentre negli ultimi 9 anni i corsi azionari avevano messo a segno un rialzo complessivo del 250%. E, come abbiamo premesso, quell’anno si ebbe un cambio alla presidenza della Fed, cosa che sempre lascia i mercati nel dubbio sulle prossime mosse dell’istituto in tema di tassi. E ancora: Reagan aveva varato l’anno prima una riforma fiscale fondamentale per passare alla storia come il presidente del taglio delle tasse. L’aliquota massima sui redditi delle persone fisiche fu abbattuta, tra l’altro, dal 70% al 27%.

Lo scenario appare molto simile a quello odierno. Anche gli USA di oggi sono in decisa crescita, per quanto i ritmi non siano raffrontabili a quelli di 3 decenni fa, risentendo della maturità economica a cui è giunta la superpotenza americana. La disoccupazione è crollata al livello più basso dall’inizio del Millennio, orbitando in area 4%, quando tra il 2009 e il 2010 viaggiava intorno al 10%. L’inflazione è anch’essa bassa da anni, pur in risalita finalmente al target della Fed del 2%.

E la borsa americana ha guadagnato fino al 270% rispetto ai minimi toccati nel marzo del 2009, a pochi mesi dallo scoppio della crisi finanziaria. Infine, il dollaro ha iniziato a indebolirsi come allora, seppure per ragioni diverse. A metà degli anni Ottanta, era stata la stessa amministrazione USA a puntare sulla svalutazione del dollaro concordata con le altre principali potenze economiche occidentali, al fine di porre fine ad anni di eccessivo apprezzamento, che rischiavano di creare disequilibri globali. Era il cosiddetto Accordo di Plaza. (Leggi anche: Svalutazione dollaro come con Accordo di Plaza?)

Che farà la Fed a marzo?

Sul piano politico, abbiamo ancora una volta una presidenza repubblicana che cambia il governatore e che da poco ha varato un taglio delle tasse a dir poco corposo. E se oggi Donald Trump è alle prese con il Russiagate, che lo vede scontrarsi con l’Fbi, la presidenza Reagan subiva a quei tempi lo scossone legato allo scandalo Iran-Contras. L’unica grande differenza rispetto al 1987 è che ora siamo agli esordi della presidenza Trump e si esce non da un periodo di alti tassi, bensì da uno di tassi azzerati. Tuttavia, anche allora la Fed li stava alzando tra la fine del 1986 e gli inizi del 1987, reagendo al surriscaldamento dell’inflazione. Tornò a tagliarli nel novembre dello stesso anno, a pochi giorni dal crollo della borsa per fornire liquidità ai mercati, come Greenspan aveva promesso il giorno stesso del crash.

Sarebbe ingenuo pensare che la storia si ripeta ciclicamente come avvertiva Gianbattista Vico già oltre tre secoli fa. Semmai, si mostra molto istruttiva per capire cosa stia accadendo, specie se gli elementi in comune tra due fasi storiche molto differenti siano numerosi. E se fossimo come nel 1987, non potremmo che esserne rasserenati. In quell’anno, la borsa americana chiuse in rialzo, pur sotto i massimi toccati, mentre l’economia a stelle e strisce non vide crisi da lì a 4 anni più tardi.

Fosse così, sarebbe solo una tempesta in un bicchiere d’acqua. Semmai, viene da chiedersi cosa farà il neo-governatore Jerome Powell, che proprio ier giurava, insediandosi nella carica. Rinvierà il rialzo dei tassi USA a marzo o debutterà con una stretta, la quale rischia di essere percepita quale l’avvio di una fase molto meno accomodante di quella ancora in corso, spingendo i traders a un “sell-off” più marcato? (Leggi anche: Crolla Wall Street su flash crash, borse mondiali in panico)

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Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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