Ancora 48 ore e sull’isola di Cuba finirà l’era del castrismo dopo quasi 60 anni. Raul Castro, presidente dal 2008 e fratello del leggendario Fidel, scomparso nel 2016 e a cui ha succeduto, si dimetterà formalmente dalla più alta carica dello stato dopodomani, quando i 600 membri dell’Assemblea Nazionale saranno chiamati ad eleggere il suo successore. Secondo gli osservatori stranieri, a guidare L’Avana dovrebbe essere il 57-enne Miguel Diaz-Canal, attuale vice-presidente sin dal 2013, un ingegnere considerato fedelissimo del regime. Non facciamoci illusioni, non siamo alla svolta generazionale, perché l’oligarchia al potere resta essenzialmente ancora oggi quella della rivoluzione del 1959.
Un fatto è certo. Per la prima volta da 6 decenni, il capo dello stato tra qualche giorno non farà Castro di cognome e per quanto possa apparire un fatto puramente formale, rischia per il regime di segnarne la fine. Nell’immaginario collettivo, la famiglia che ha abbattuto la dittatura di Fulgencio Batista e cacciato gli americani dall’isola è associata al comunismo, alla pianificazione economica, insomma al regime collettivistico. Anche per questo, oltre che per una mentalità profondamente ottusa e ancorata al passato, Raul non è stato capace di sfruttare al meglio il decennio al potere per riformare l’economia, aprendola al libero mercato. Del resto, che le riforme sarebbero arrivate da una classe politica di ottuagenari sarebbe stato impensabile, come se negli anni Ottanta le speranze di un ammodernamento dell’allora Unione Sovietica fossero affidate a Konstantin Cernienko.
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Riforme timide e più teoriche che pratiche
Di passi in avanti verso il libero mercato ne sono stati compiuti negli ultimi 6-7 anni.
Il settore privato si è espanso e i lavoratori autonomi nell’ultimo decennio si sono triplicati a 580.000 unità, pur ancora pochi per una popolazione di 11 milioni di abitanti. Grazie al boom dei turisti nell’ultimo triennio, si sta sviluppando il settore terziario, ma le distanze tra aree centrali e rurali si sta ampliando a discapito delle seconde, tagliate fuori da quel poco di sviluppo che si nota e appannaggio perlopiù di chi ruota attorno al settore privato, laddove quello pubblico rimane inefficiente e sovradimensionato. Per non parlare del fatto che manchi ancora un vero sistema di tassazione, con i redditi dei lavoratori oggetto di imposizione fiscale solo oltre i 2.500 pesos al mese, qualcosa come 100 dollari. Agli investitori stranieri, invece, è stato garantito un abbattimento delle tasse per attirare i loro capitali, anche se i controlli sull’economia rimangono stringenti.
Raul Castro, come prima ancora Fidel, non ha voluto sentirne di imitare la Cina o il Vietnam nell’ispirarsi al loro modello di crescita improntato al libero mercato e con un ruolo di controllo e direzione per lo stato e la diligenza comunista.
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Sistema dei cambi confuso
L’amministrazione Trump ha parzialmente reintrodotto le limitazioni ai movimenti degli americani, tornando all’embargo pre-2016, eliminato grosso modo dal predecessore Barack Obama. I rapporti con l’America si sono raffreddati poco dopo che si erano scongelati e il prossimo presidente cubano dovrà cercare di andare incontro alle richieste degli USA, se vorrà ottenere in cambio il ripristino di normali relazioni commerciali, più che necessarie per vivacizzare un’economia, che starebbe crescendo al ritmo del 2,4% nell’ultimo decennio, quando per ammissione dello stesso regime avrebbe bisogno di farlo almeno al 7% per svilupparsi.
E come ogni dittatura comunista che si rispetti, anche a Cuba il disordine monetario regna incontrastato. Dal 1990 esistono due valute: il CUP e il CUC. La seconda è convertibile in dollari e viene utilizzata dagli stranieri per gli acquisti, mentre la prima è quella utilizzata per gli scambi interni, ma non anche per acquistare presso i supermercati statali. Una unità di CUC vale 24 CUP. L’unificazione dei due cambi appare una delle sfide più difficili da affrontare per il prossimo capo dello stato cubano, visto che la confusione è voluta appositamente per mantenere in vita un sistema inefficiente e assistito.
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