Da gennaio 2023 aumentano le pensioni. Ma di quanto? Esattamente del 7,3%, come stabilito dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti che ha da poco firmato il decreto sulla rivalutazione degli assegni.
L’adeguamento delle pensioni, in gergo perequazione automatica, prevede che gli importi siano adeguati al costo della vita dell’anno precedente. In maniera tale da mantenere immutato il potere di acquisto dei pensionati.
A gennaio le pensioni aumentano del 7,3%
L’aumento scatterà in misura quasi totale sulla base delle risultanze dei dati provvisori dei prezzi al consumo rilevati dall’Istat per i primi dieci mesi del 2022.
In altre parole l’aumento del 7,3% non è definitivo e suscettibile di ulteriori leggere variazioni percentuali che saranno recuperate nel 204. Il grosso, comunque sarà corrisposto a partire da gennaio 2023 per tutti.
Come sempre gli aumenti sono al lordo delle trattenute fiscali (Irpef e addizionali regionali e comunali). Al netto di tali costi, si dovrebbe percepire, per i redditi fino a 15.000 euro, un aumento medio del 5,5%. Per i redditi più alti, le trattenute erariali saranno maggiori e di conseguenza l’incremento netto inferiore.
Attenzione, però, a coloro che percepiscono una pensione medio bassa fino a 35 mila euro all’anno. In base al Decreto aiuti bis dello mese di agosto, sono già stati erogati aumenti pari al 2% dell’importo per i mesi di ottobre, novembre e dicembre. Quindi per questi pensionati l’incremento del 7,3% sarà defalcato degli anticipi già erogati.
La rivalutazione delle pensioni d’oro e d’argento
Da ricordare che a partire dal 2001 la percentuale di rivalutazione si applica in misura diversa a seconda dell’importo della pensione percepita. Chi percepisce pensioni d’oro o d’argento, infatti, non godrà della piena perequazione automatica.
- fino a 4 volte il minimo rivalutazione al 100%;
- fra quattro e cinque volte il minimo rivalutazione al 90%;
- sopra cinque volte il minimo rivalutazione del 75%.
Una scaletta che però potrebbe cambiare con la legge di bilancio 2023 anche per limitare l’intervento finanziario dello Stato. Il legislatore potrebbe tenere maggiormente conto delle pensioni appartenenti alla prima fascia, cioè quella fino a 2.600 euro lordi al mese, sacrificando maggiormente le altre.
Tutto è però ancora in discussione nell’ambito del più ampio progetto di riforma delle pensioni che dovrebbe sbarcare in Parlamento a breve.