E’ da poco passato il 9 novembre, data che in Germania rievoca due fatti storici di straordinaria importanza: la tristemente nota “Notte dei Cristalli” del 1938, quando i negozi degli ebrei vennero presi d’assalto in piena era nazista sotto Adolf Hitler, e la caduta del Muro di Berlino del 1989. Quest’ultima avvenne quasi per caso, per quanto la fine dell’allora DDR fosse solo questione di tempo e s’inseriva nel solco della crisi irreversibile in cui era precipitato ormai tutto il sistema comunista dell’Europa orientale e di stampo sovietico.
Dalla nascita dell’euro alla BCE: il quiz di 10 domande per testare le conoscenze
La fine dei regimi comunisti dell’est e la riunificazione delle due Germanie – quest’ultima avvenuta ufficialmente con le prime elezioni politiche unitarie post-belliche di est e ovest del 3 ottobre 1990 – non alimentarono solo sentimenti di giubilo in Europa. Famosa fu la battuta ironica dell’allora premier italiano Giulio Andreotti: “la Germania mi piace così tanto che preferisco averne due”. Dello stesso avviso era la premier britannica Margaret Thatcher, che all’America chiese rassicurazioni sul futuro politico della Germania in Europa. La Francia di François Mitterand non era meno inquieta. In fondo, due guerre mondiali erano esplose per l’inimicizia storica tra le due sponde del Reno.
Per questo, caduto precipitosamente il muro, Parigi chiese a Berlino l’unica garanzia che ritenne avrebbe impedito il ripetersi degli eventi, vale a dire che avrebbe potuto “europeizzare” la Germania: il consenso alla nascita di una moneta unica nel Vecchio Continente. Nel 1971, l’accordo di Bretton Woods con cui si regolavano i tassi di cambio tra oltre una quarantina di stati dell’Occidente e si teneva il dollaro ancorato all’oro veniva rottamato dalla presidenza Nixon.
Dal marco tedesco all’euro
Il marco tedesco della ex Germania Ovest era diventato molto più forte delle altre valute, un riferimento per l’Europa, grazie alla solidità fiscale perseguita da tutti i governi di Bonn dopo la Seconda Guerra Mondiale e alla enorme stabilità monetaria garantita dalla Bundesbank, capace di tenere l’inflazione sotto controllo e finanche di azzerarla negli anni Ottanta, quando in Italia i prezzi galoppavano a doppia cifra. Ora che i tedeschi aumentavano di numero e, in prospettiva, di potenza, i francesi temevano di subire una “germanizzazione” dell’Europa. Per questo, chiedono e ottengono un difficile “ja” all’euro, che arriva molto a malincuore, dato che i tedeschi si erano affezionati al loro marco e in esso vi vedevano quei decenni di prosperità, stabilità e di pace che si erano ritagliati a fatica dopo il disastro prima dell’iperinflazione negli anni Venti e dopo degli anni rovinosi della guerra tra il 1939 e il 1945.
Il cancelliere Helmut Kohl accettò suo malgrado l’euro, ma lo corredò di tante e tali previsioni da ricevere nei fatti la garanzia che sarebbe nato come una sorta di continuità del marco tedesco, pur più debole. La rigidità fiscale pretesa per gli altri stati e l’unica missione per il mantenimento della stabilità dei prezzi assegnata alla BCE furono le condizioni non negoziabili poste dalla Germania per europeizzarsi in un’Europa che a sua volta si sarebbe dovuta “germanizzare”.
Senza conoscere questo dato non si capirebbero le ragioni dello scontro latente e apparentemente eterno tra Berlino e pochi alleati mitteleuropei da una parte e il resto dell’Eurozona dall’altro su conti pubblici e politica monetaria.
L’euro non cambierà pelle dopo le elezioni europee, la Germania difenderà il modello tedesco