La Francia ha dato un sonoro schiaffo a Emmanuel Macron, privando il rieletto presidente della Repubblica della maggioranza assoluta dei seggi in Assemblea Nazionale. Egli dovrà ora decidere se stringere un’alleanza organica con i Repubblicani, la forza neogollista di destra uscita a sua volta fortemente ridimensionata, oppure se dare vita a un governo di minoranza appoggiato da questi ultimi legge per legge. La crisi del “macronismo”, che già s’intravide alle elezioni presidenziali di qualche mese fa con l’elevato astensionismo, non depone a favore di un sostegno convinto di chicchessia al nuovo governo.
Non solo Macron, altri governi più deboli nell’Area Euro
Per quanto Parigi si sia spostata a destra con il voto, la netta avanzata di Marine Le Pen da un lato e Jean-Luc Mélenchon dall’altro limitano fortemente l’agenda delle riforme di Macron e inguaia la stessa BCE. Lo schema che nell’Eurozona sta costituendosi per gestire il dopo-pandemia e la difficile congiuntura bellica è il seguente: politica monetaria restrittiva (tassi d’interesse più alti) contro l’inflazione e prudenza fiscale (meno spesa pubblica e più entrate) per migliorare i bilanci pubblici. Tra qualche anno, si arriverà a una vera e propria austerità fiscale, quando il tetto al deficit del 3% sarebbe ripristinato.
Questo mix si rivelerebbe coerente anche per mitigare la crescita dei prezzi al consumo, “raffreddando” la domanda interna. Ma lo schema sarebbe già saltato. Domenica scorsa, il Partito Socialista del premier spagnolo Pedro Sanchez ha preso una grossa scoppola in Andalusia, perdendo la storica roccaforte a favore del centro-destra. Nello stesso tempo, i socialdemocratici tedeschi crollano nei sondaggi e risultano ampiamente scavalcati dagli alleati Verdi e dai cristiano-democratici all’opposizione.
La foto di Macron, Olaf Scholz e Mario Draghi sul treno per Kiev è già più sbiadita. Più che di tre leader, è l’immagine di tre uomini relativamente azzoppati in casa. La BCE è dovuta intervenire ufficialmente per salvare l’Italia dagli attacchi speculativi contro i suoi titoli di stato. La parabola di Draghi è già in discesa, anche perché il governo italiano è ormai fermo su tutto dall’approvazione del bilancio a dicembre. La maggioranza in Parlamento non esiste praticamente più. Le lacerazioni interne al Movimento 5 Stelle ne sono la prova più evidente.
Austerità fiscale e stretta sui tassi, il fattore guerra
In questo caos, reso incandescente dalle conseguenze della guerra sulle vite dei cittadini europei, l’austerità fiscale si allontana. Macron non può accettare un programma di tagli alla spesa e/o aumenti delle imposte. Il boom di Le Pen e Mélenchon si spiega tra l’altro per l’opposizione di entrambi all’innalzamento dell’età pensionabile a 65 anni. Le riforme macroniane sono già morte da un pezzo, le elezioni di domenica lo hanno ricordato. Ma senza austerità fiscale, come faranno i governi a sostenere i programmi di spesa in deficit con tassi di mercato sempre più alto? Peraltro, questi rischiano di neutralizzare gli effetti calmieranti dei prezzi della stretta monetaria.
La sensazione è che l’Eurozona non potrà permettersi granché neppure di alzare i tassi. Farà qualcosa per non restare troppo indietro rispetto alle principali banche centrali e offrire un minimo sostegno all’euro. Tuttavia, una stretta all’americana appare improbabile, specie dopo le elezioni in Francia. Nessun governo delle grandi economie dell’area risulta così forte da poterselo permettere. Cercheranno di spegnere l’inflazione puntando ad accorciare la durata della guerra in Ucraina.