Dalla Mongolia nuovi titoli di stato per uscire dalla crisi

Rendimento del 5,50% in dollari per il primo bond decennale dello stato asiatico. Il paese registra tassi di crescita a due cifre grazie alla forte domanda di materie prime dalla Cina
12 anni fa
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La Mongolia, territorio di conquista di Gengis Khan dalla quale nacque più grande impero della storia, non è mai stata oggetto di interesse da parte degli investitori internazionali. Solo in questi ultimi anni, con l’apertura della Cina ai mercati internazionali si sono intensificate le relazioni con i finanziatori esterni che hanno intravisto nell’espansione delle attività minerarie mongole grosse opportunità di guadagno.

 

Economia Mongolia: una crescita vertiginosa 

L’impetuosa crescita economia del mondo asiatico, guidato dalla Cina, infatti, richiede sempre più approvvigionamento di materie prime di cui la Mongolia, grande cinque volte l’Italia, è piena zeppa.

Così le grandi riserve di carbone, oro e rame hanno attirato negli ultimi anni importanti compagnie internazionali dell’industria estrattiva avviando la Mongolia alla trasformazione dell’economia da pastorizia e agricola a industriale. Il risultato è stato che l’economia della Mongolia è cresciuta nel 2011 del 17 per cento e si stima che il suo Prodotto interno lordo (PIL) raddoppierà nei prossimi dieci anni. L’industria mineraria – spiega Tuvshintugs Batdelger, professore dell’Università Nazionale della Mongolia – sta contribuendo a guidare l’economia di questa nazione a un ritmo incredibile, ma c’è preoccupazione per le ripercussioni che ci potranno essere sulle altre attività industriali del paese a causa dell’aumento dell’inflazione. La grande domanda nel mercato delle risorse naturali, da parte dei paesi esteri, sta facendo salire il valore del Tugrug, la valuta mongola, rendendo le esportazioni dei prodotti delle altre attività industriali più costose. Nel 2011 l’inflazione della Mongolia è cresciuta del 12 per cento e il tasso di disoccupazione è stato del 20 per cento.

 

Obbligazioni estere: i titoli di stato mongoli in dettaglio

 

In questo contesto di crescita economica esponenziale è quindi necessario trovare nuovi mezzi finanziari per sostenere le spese interne dello Stato e dell’amministrazione pubblica. Così la Mongolia si è rivolta per la prima volta ai mercati internazionali  e a investitori istituzionali chiedendo a prestito 1,5 miliardi di dollari a fronte dell’emissione di titoli di stato di media e lunga durata.

All’inizio di dicembre, il Tesoro di Ulan Bator ha emesso due prestiti obbligazionari in dollari garantiti dallo Stato con scadenza 2018 e 2022. Il primo (US60937GAA40), da 500 milioni di dollari, offre una cedola del 4,125% su base semestrale fino al 05/01/2018 e, a fronte di una quotazione intorno a 98% rende circa il 4,61% a scadenza. Il secondo (US60937GAB23), da 1.000 milioni di dollari, offre una cedola di un punto superiore, sempre su base semestrale fino al 05/12/2022 e, a fronte di una quotazione intorno a 97% rende circa il 5,50% a scadenza. Entrambe le emissioni sono negoziabili per importi minimi di 200.000 dollari e sono state classificate dalle agenzie di rating sotto il profilo “non investment grade”, BB- per Standard & Poor’s, B+ per Fitch e B1 per Moody’s. Da indiscrezioni riportate da Reuters, i due terzi delle emissioni pare siano state sottoscritti da banche cinesi, russe, kazache e americane che, fra le altre cose, hanno maggiori interessi economici in Mongolia essendo anche paesi confinanti.

 

Titoli di stato Mongolia: rating ancora compresso, ma l’outlook è positivo 

Benché le risorse finanziarie saranno usate dallo Stato per la creazione di infrastrutture e servizi a supporto dello sviluppo economico futuro della Mongolia, gli analisti non si sono sbilanciati troppo a favore dello stato mongolo che presenta ancora alti livelli di corruzione a livello politico e centrale e forte impatto ambientale sulle attività minerarie. Secondo gli ultimi sondaggi, il 96 per cento dei mongoli crede che la corruzione sia molto diffusa e l’80 per cento dice di credere che chi gestisce gli affari del loro paese abbia troppo potere. Saurabh Sinha, economista del Programma di sviluppo delle Nazioni Unite nella capitale mongola di Ulan Bator, ha detto che il paese è a un bivio: potrebbe usare i finanziamenti ricevuti e la ricchezza mineraria per migliorare le condizioni di vita dei suoi abitanti, ma anche diventare un vassallo della Cina e delle potenze straniere.

Per ora, quindi, il giudizio degli analisti riflette ancora quello di uno stato sottosviluppato rispetto ai paesi industrializzati, anche se le premesse per un apprezzamento dell’outlook ci sono tutte viste le forti prospettive di crescita economica nel breve-medio termine

 

Investire nel carbone: obbligazioni Mongolia Mining Corporation 8,875% in dollari

 

Fra le diverse opportunità di investimento in Mongolia, segnaliamo anche la Mongolia Mining Corporation (MMC), quotata alla borsa di Hong Kong, una delle eccellenze a livello mondiale per l’estrazione di carbone che opera sul territorio attraverso due grosse miniere nel Sud della paese. Posseduta interamente dalla mongola Energy Resources LLC, si può definire a tutti gli effetti una compagnia statale che controlla la maggior parte delle attività estrattive del paese. La società è presente anche sul mercato obbligazionario con un’emissione da 600 milioni di dollari lanciata a marzo 2012 e curata dalle più note merchant banck mondiali, quali Bofa Merrill lynch, ING e JP Morgan. Il titolo (Isin USG6264VAA01) è di tipo senior non subordinato, negoziabile per tagli da 200.000 dollari, paga una cedola del 8,875% fino al 2019, su base semestrale con stacco il 29 Marzo e 29 Settembre di ogni anno. Al momento quota 108% del valore nominale e rende ilo 7,22% a scadenza, presenta una call sul 35% dell’ammontare esercitabile fino a marzo 2015 al prezzo di 108,87, in seguito a 104,43 sul 100% del debito (dal 2015), 102,22% (dal 2016). Al 30 Giugno 2012, MMC aveva realizzato ricavi per 233 milioni di dollari con un incremento del 71% rispetto allo stesso periodo del 2011 grazie alla forte domanda di carbone proveniente per il 50% dalla Cina e per il 20% dalla Russia. In sei mesi sono infatti state estratte ed esportate 4,1 milioni di tonnellate di carbone (+64% rispetto al 2011), ma la compagnia si prefigge di raggiungere i 10 milioni di tonnellate di export entro la fine del 2012 a fronte dell’enorme richiesta proveniente dalla Cina per la produzione di acciaio.

I profitti, come conseguenza, sono volati del 56% a 31 milioni di dollari e il debito netto è sceso a 4,9 volte l’Ebitda (da 8,5 del 2011). Valori che hanno confermato il rating degli analisti di Standard & Poor’s e Moody’s a B+ e B1 con implicazioni positive per un prossimo apprezzamento sulla scala del merito creditizio.

Mirco Galbusera

Laureato in Scienze Politiche è giornalista dal 1998 e si occupa prevalentemente di tematiche economiche, finanziarie, sociali

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