E’ stata una doccia fredda per Banco BPM, le cui azioni a Piazza Affari ieri hanno perso quasi il 4,5% e anche oggi viaggiano a -0,70%. La Banca Centrale Europea (BCE) doveva esitare una risposta entro la giornata odierna riguardo all’applicabilità del “Danish Compromise” per l’Offerta Pubblica di Acquisto lanciata dall’istituto milanese nei confronti di Anima. L’AD Giuseppe Castagna era certo dell’esito positivo, mentre da Francoforte è arrivato un diniego. Il cosiddetto “sconto danese” non si applicherebbe all’operazione in corso. Piazza Meda è rimasta scioccata dalla decisione, anche se nel comunicato a caldo pubblicato ieri ha voluto evidenziare come l’ultima parola spetti all’EBA, ossia alla Vigilanza.
Quello della BCE era solamente un parere.
Ragioni del ‘no’ BCE a Danish Compromise
Nei mesi scorsi, Banco BPM ha lanciato un’OPA sul totale delle azioni Anima, di cui già deteneva una partecipazione del 22%. Quando si verifica un evento del genere, la società acquirente deve accantonare capitale a copertura dei costi legati all’integrazione. Ma il Danish Compromise consente ai gruppi bancari di ottenere uno sconto permanente a bilancio, qualora le società acquisite fossero di tipo assicurativo. In sostanza, un incentivo alle banche per rilevare compagnie di assicurazione.
Perché la BCE non ritiene che nel caso specifico si possa applicare il Danish Compromise? Anima è una società di gestione del risparmio e non un’assicurazione vera e propria. Lo scorso anno, tuttavia, l’EBA aveva prospettato un’interpretazione estensiva della norma, tale da comprendere anche le sgr. Evidentemente, alla BCE non la pensano allo stesso modo. Verificheremo presto se l’EBA si adeguerà o se confermerà la propria visione.
Brutto colpo per Giuseppe Castagna
Il “no” al Danish Compromise complica i piani di Castagna, il quale non si dà per vinto e rassicura sul prosieguo dell’operazione. Anzitutto, perché le adesioni all’OPA hanno già superato la soglia del 45% più un’azione, che era il limite minimo fissato per la sua efficacia. Con l’adesione delle azioni di Francesco Gaetano Caltagirone per il 5,84%, la soglia del 50% sarebbe praticamente alla portata. E dal comunicato di ieri si evince anche che nel caso peggiore, per l’appunto in cui l’EBA decidesse in sintonia con la BCE, il CET1 ratio (capitale primario) si attesterebbe pur sempre sopra il 13% contro il 14,4% stimato nel caso di esito favorevole.
Nel triennio 2024-2027, agli azionisti verrebbero distribuiti 6 miliardi di euro in dividendi, a cui si aggiungerebbe un ulteriore miliardo con l’applicazione del Danish Compromise. Insomma, nessun apparente motivo per andare nel panico. Il punto è che le azioni Banco BPM sono diventate meno appetibili per Unicredit, che a sua volta nel novembre scorso ha lanciato un’Offerta Pubblica di Scambio su Piazza Meda. Il CEO Andrea Orcel non ha finora voluto alzare il prezzo, sostenendo che gli sviluppi recenti sarebbero stati negativi e non positivi ai fini della valutazione del titolo. E quanto accaduto ieri gli dà per il momento ragione.
Orcel più forte dopo BCE
Orcel osserva che con l’applicazione del Danish Compromise, l’acquisizione di Anima renderebbe il 15% del capitale a Banco BPM. Ma senza, il rendimento scenderebbe all’11% e si consumerebbe capitale per diversi miliardi. In soldoni, non solo non ci sarebbe più ragione per alzare il prezzo, ma anzi Unicredit potrebbe anche desistere dall’operazione. L’OPS prevede l’emissione di 0,175 azione Unicredit per ogni 1 azione di Banco BPM portata in adesione. Ragionando rispetto ai prezzi di borsa vigenti poco prima del lancio dell’operazione, il titolo Banco BPM veniva valutato inizialmente 6,657 euro. Oggi, la quotazione è di 9,74 euro, in rialzo da allora del 46%. E anche le azioni Unicredit si sono impennate nel frattempo del 43% a 54,39 euro.
Risiko bancario legato al Danish Compromise
Dunque, l’OPS di Unicredit comporterebbe attualmente uno sconto superiore al 2% per le azioni Banco BPM. Ma tale sconto l’altro ieri sfiorava a fine seduta il 6%. Cosa significa? Vacillando il Danish Compromise, il mercato vede il rischio o che Unicredit molli l’OPS o che non aggiorni le condizioni offerte in senso migliorativo. Il risiko bancario ne può risultare sconvolto per gli effetti a cascata che si avrebbero su altre operazioni in corso. Orcel detiene il 5,23% di Generali, oro puro in vista dell’assemblea dei soci del 24 aprile. Se per allora avrà rinunciato a Banco BPM, probabile che vorrà capitalizzare al massimo dalla partecipazione nella compagnia di Trieste.
Resta il dubbio se appoggerà l’uscente CEO Philippe Donnet o se opterà per Assogestioni, magari in sintonia con Delfin della famiglia Del Vecchio e l’imprenditore Caltagirone. Questi ultimi due sono a loro volta azionisti anche di Mediobanca, a capo di Generali e sotto OPS di Monte Paschi, altra banca nel cui capitale hanno fatto ingresso nell’autunno scorso.
giuseppe.timpone@investireoggi.it