Nessun rialzo in vista per i tassi BCE da qui ai prossimi mesi, anche perché l’inflazione nell’Eurozona resta sotto il target e non sembra volerne sentire di accelerare nel breve. Ad ogni modo, complici le varie tensioni internazionali, le quotazioni dell’oro quest’anno hanno messo a segno una crescita del 3,3%, portandosi a 1.326 dollari l’oncia, ai massimi da 10 mesi. E’ poco e la forza del dollaro ne limita i guadagni, ma in tempi di rendimenti nulli o persino sottozero, qualcuno potrebbe trovare interessante puntare sul metallo, sebbene si tratti di un classico investimento a medio e, soprattutto, a lungo termine.
Inflazione e oro, prezzi legati: perché il metallo è sceso sotto 1.200 dollari?
Sarebbe il caso, allora, di chiedersi se davvero il metallo abbia soddisfatto le aspettative del mercato in un lasso di tempo sufficientemente lungo. In altre parole, l’oro ha coperto o meno l’inflazione? Chiaramente, la risposta dipende per prima cosa dallo stato di residenza dell’investitore. Una cosa è vivere in Italia, un’altra nel Venezuela dell’iperinflazione. In quest’ultima, non c’è surriscaldamento delle quotazioni auree che possa compensare lo spaventoso aumento dei prezzi, i quali tendono praticamente a raddoppiare ormai ogni paio di settimane.
Mettiamoci nei panni di un italiano, che alla fine degli anni Novanta, quando la lira cedeva il passo all’euro, avesse investito i suoi risparmi nell’oro, in tutto in parte, con l’obiettivo di mettere in salvo i propri sacrifici dall’inflazione. Avrà raggiunto o meno lo scopo a distanza di 20 anni? Ebbene, da allora le quotazioni del bene rifugio per eccellenza risultano cresciute del 420%. A inizio 1999, infatti, un’oncia si comprava ancora per 250 dollari o poco più.
La performance dell’oro negli ultimi 40 anni
Dunque, il rendimento reale di un investimento in oro è stato del 370% in 20 anni, pari alla media annua dell’8%. Sembra proprio che l’oro abbia adempiuto al proprio compito. In effetti, se avessimo investito in immobili, oggi ci ritroveremmo con un valore di mercato sostanzialmente uguale, ma inferiore del 46% in termini reali, tenuto conto dell’inflazione. I prezzi medi delle case in Italia, infatti, si sono riportati oggi a quelli di fine anni Novanta. Se, poi, avessimo puntato sulla borsa italiana, ci sarebbe andata molto peggio, visto che l’Ftse Mib ha perso in 20 anni quasi il 50%. Investito 100 a Piazza Affari, quindi, avremmo oggi solo 55, che varrebbe realmente appena 30. Ma non tutti i mercati azionari sono stati così sfigati. Wall Street ha reso il 180% negli ultimi 20 anni, circa il 177% tenuto conto delle variazioni del cambio euro-dollaro, il 5,2% medio annuo. Tanto, ma molto meno dell’oro, che si mostra un asset più redditizio.
Perché il prezzo dell’oro resta poco tonico anche con il calo dei rendimenti americani?
E se allungassimo l’orizzonte temporale raddoppiandolo? Immaginiamo che il solito investitore italiano avesse investito i suoi risparmi in lire 40 anni fa esatti. Se avesse puntato sull’oro, oggi porterebbe a casa un rendimento del 430%, avendo acquistato un’oncia ai tempi a circa 250 dollari, lo stesso valore di fine anni ’90. Ma nel frattempo, il dollaro contro la lira ha guadagnato quasi i due terzi, esattamente il 62%.
E se avessimo puntato sempre su Wall Street? In 40 anni, il Dow Jones ha reso il 2.800%, per cui se avessimo investito 1 milione di lire sull’indice di New York, avremmo acquistato ai tempi titoli per un valore di quasi 1.200 dollari, ma che si sarebbero impennati oggi a circa 34.500 dollari. Al netto della solita inflazione, avremmo ottenuto un rendimento medio annuo reale di quasi il 26%. Ciò dimostrerebbe che l’oro abbia funto da protezione dei risparmi, ma il mercato azionario americano nel lunghissimo periodo avrebbe svolto tale funzione persino meglio. Vero è, però, che il metallo ha avuto un andamento crescente quasi ininterrotto, fatta eccezione per il periodo compreso tra l’estate del 2011 e l’autunno del 2015, gli anni di massima crisi dell’euro, mentre Wall Street ha avuto i suoi consueti saliscendi, anche piuttosto bruschi, come quello breve e intenso del 1987, a fine anni Novanta e tra il 2007 e il 2009.