E’ guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina, sperando che resti solo tale. Giovedì sera, Wall Street è scesa in terreno negativo dopo che dall’amministrazione Trump hanno puntualizzato che i dazi americani sulle merci cinesi sono fissati al 145% e non al 125% come si pensava dal giorno prima. Un’escalation che va avanti da settimane e che ha spinto anche Pechino a sua volta a reagire imponendo dazi sulle merci americane fino al 125% di venerdì. Ormai è diventato difficile tenere testa agli annunci quotidiani che si susseguono sul tema.
Dazi su merci cinesi provocano terremoto in borsa
Mercoledì 9 aprile, a seguito del contestuale crollo di Wall Street e dei Treasuries, Trump era stato costretto a compiere una parziale retromarcia: dazi americani sospesi per 90 giorni, tranne che sulle merci cinesi.
Su di queste erano stati inizialmente fissati al 20%, meno che per Canada e Messico a febbraio. Con l’annuncio del 2 aprile era stata imposta una tariffa extra del 34%. Poiché la Cina aveva reagito a sua volta con contro-dazi, Washington aveva replicato con l’innalzamento al 104%. E con la sospensione di mercoledì salivano ancora al 125%, ma in aggiunta al 20% iniziale. Totale: 145%!
Numeri import-export USA-Cina
Nel 2024 gli USA hanno importato dalla Cina merci cinesi per un controvalore di 439 miliardi di dollari, mentre vi hanno esportato solamente per 143,55 miliardi. Il saldo è stato negativo per la prima economia mondiale verso la seconda di 295 miliardi. Le importazioni dalla Cina hanno pesato per l’1,5% del Pil americano e per circa il 2% dei consumi. Viceversa, le esportazioni dalla Cina verso gli USA hanno inciso per il 2,3% del Pil della prima.
E le importazioni dagli USA rappresentano appena lo 0,76% del Pil e il 2% dei consumi.
I numeri in sé appaiono quasi irrilevanti, ma non è così. I commerci sono interconnessi e non tutte le importazioni sono perfettamente rimpiazzabili. C’è il serio rischio che l’interscambio tra USA e Cina si prosciughi, portando a serissimi problemi di approvvigionamento per molte realtà americane. Non si rimpiazza un fornitore dalla mattina alla sera con un altro. E non parliamo dei costi. Rimpatriare la produzione può creare qualche posto di lavoro in più, distruggendone altri per effetto dei rincari di beni e servizi.
Svalutazione yuan arma spuntata?
E adesso chiediamoci per quale motivo Trump abbia imposto dazi sulle merci cinesi così alti? La prima spiegazione è che ciò rifletta l’escalation tra le due potenze. Poiché la Cina ha reagito, gli USA la puniscono anche per inviare un messaggio agli altri governi del mondo: se imitate Pechino, ne pagherete caramente le conseguenze. Dietro c’è anche altro. Gli americani temono la svalutazione dello yuan. Sul mercato off-shore la valuta cinese scambia già ai minimi storici, ma la Banca Popolare Cinese ha finora mantenuto grosso modo stabile il cambio.
La svalutazione dello yuan sarebbe un modo per annullare l’effetto dei dazi americani sulle merci cinesi. Ad esempio, se le tariffe salgono del 10% e lo yuan s’indebolisce anch’esso del 10% contro il dollaro, i prezzi in dollari per i consumatori americani non cambierebbero.
La domanda resterebbe intatta e alla fine a pagarne le spese sarebbero solamente gli USA, che con un cambio più forte avrebbero ulteriori problemi di competitività. Tuttavia, questa minaccia può essere sventata sul nascere. Come? Fissando dazi così alti da non rendere efficace alcuna svalutazione possibile.
Ritorsione cinese sui Treasuries
In effetti, con dazi sulle merci cinesi al 145%, Pechino dovrebbe più che dimezzare il valore del suo yuan contro il dollaro. Una mossa inattuabile, perché provocherebbe il tracollo finanziario del Dragone e farebbe esplodere i prezzi al consumo interni. Non è un caso che le autorità cinesi pare che abbiano reagito vendendo Treasuries, anziché intervenire sul cambio. E questa operazione si sarebbe rilevata parzialmente efficace. I rendimenti sono esplosi, spingendo Trump a sospendere i dazi, seppure a tutti tranne proprio alla Cina.
Dazi su merci cinesi per isolare Pechino
L’amministrazione americana, infine, punta a disconnettere la Cina dal mercato globale con dazi così stellari. In altre parole, a ricacciarla verso una dimensione regionale nell’Asia. La conseguenza indiretta di questa sua azione, infatti, sarebbe costringere nel tempo anche le altre economie a imporre dazi sulle merci cinesi per non finire inondate per via della necessità di Pechino di dirottare altrove le minori esportazioni verso gli USA. Un ritorno a prima che nel 2001 entrasse nel WTO, l’Organizzazione del Commercio Mondiale.
giuseppe.timpone@investireoggi.it
Finalmente un quadro assai realistico, con la lucidità di sempre che contraddistinguono le analisi di Timpone.
Mentre altre testate giornalistiche vagolano nelle ipotesi più fantasiose.