La Germania non era stata così politicamente debole da diversi decenni. Tornata ad essere tacciata, non senza qualche pizzico di esagerazione “il malato d’Europa, di vero c’è che ha un governo traballante. Sorretto da una maggioranza litigiosa e divisa su tutto, il cancelliere Olaf Scholz presta il voto all’impasse del Vecchio Continente in questa fase. Quale migliore momento per approfittarne e reclamare nuove emissioni di debito comune europeo? Ieri, ci ha pensato il commissario agli Affari monetari, Paolo Gentiloni.
Pressing sulla Germania per il debito comune europeo
Nelle settimane passate era stata la Francia di Emmanuel Macron a prospettare nuovo debito comune per finanziare la difesa. Ancora prima l’invito era arrivato da Mario Draghi, considerato possibile prossimo presidente del Consiglio europeo dopo Charles Michel. La Germania neppure commenta. Il “nein” di Berlino è netto, sebbene i Verdi siano persino disposti a trattare sul tema. Essi sanno, tuttavia, che troverebbero porte sbarrate dagli alleati liberali del ministro delle Finanze, Christian Lindner. E con questi chiari di luna, tornare al governo federale sarebbe molto difficile, qualora cadesse questo.
Di debito comune ne esiste già nell’Unione Europea. A fine febbraio risultavano esservi emissioni di cosiddetti Eurobond sotto la versione unificata delle varie denominazioni precedenti per oltre 310 miliardi. In totale, esso ammonta a 482 miliardi, corrispondente al 3,35% del Pil nell’area del 2023. I suoi rendimenti lungo la curva delle scadenze si attestano su livelli minori a quelli di gran parte dei rendimenti nazionali. Ma non sempre. Il decennale offriva ieri il 3%, più del 2,45% della Germania e poco meno del Portogallo. Certamente, ben meno del 3,65-3,70% dell’Italia.
L’opposizione di Berlino resta
Ci sono diverse ragioni per cui il debito comune non può piacere ai tedeschi.
Per essere più espliciti, la Germania non ha una buona idea dell’Italia e, in generale, del Sud Europa. Ci considera “spendaccioni” e allergici all’ordine fiscale. Tanti pregiudizi, che a volte si sommano ai dati di fatto. Tanto per fare un esempio, debito comune significherebbe pagare per le pensioni generose erogate nel nostro Paese e già a partire ad età da sogno per i lavoratori tedeschi. “Nein, danke!”.
Anche la Germania vacilla sui conti pubblici
E’ pur vera una cosa. La Germania stessa non è quella di pochissimi anni fa. Vanta un debito pubblico intorno al 67% del Pil, molto inferiore alla media del 90% nell’Eurozona. Allo stesso tempo, riesce con molte più difficoltà di prima a gestire le esigenze di spesa, che vanno dal riarmo alla transizione energetica, passando per il potenziamento degli investimenti infrastrutturali. Tanto che ha dovuto barare con la creazione di decine di “veicoli speciali” (“Sondervermögen”) a cui il governo ha appioppato 869 miliardi di euro di spese pluriennali. La Corte Costituzionale se n’è accorta e il bluff ha fatto il giro del mondo.
Lindner, forse più per rinvigorire il morente Partito Liberaldemocratico di cui è leader e che rischia al prossimo giro di restare fuori dal Bundestag, ha da poco dichiarato che alla Germania serve austerità fiscale.
Unione fiscale diverrebbe imprescindibile
Attenzione a ciò che desideriamo. Una scelta del genere avrebbe un significato irreversibile su un capitolo – la politica fiscale – sensibilissimo per i cittadini e le cui preferenze variano da contesto a contesto. Non possiamo immaginare che l’Unione Europea continui ad emettere Eurobond come una forsennata. Sinora, nessuno si è chiesto come verranno ripagati quei titoli, trattandosi di una percentuale risibile del Pil dell’area. Formalmente, sono bond con rating tripla A, in quanto garantiti dagli stati nazionali, tra cui paesi solidissimi fiscalmente come Germania, Olanda, ecc. Ma se il loro ammontare esplodesse a percentuali di tutto rispetto in rapporto al Pil, il mercato inizierebbe a porsi qualche domanda.
Nessuno presterebbe tanti soldi a un soggetto che non possiede alcuna capacità impositiva e che ha un bilancio di lungo termine pari ad appena l’1,2% del Pil. E anch’esso è fondato su trasferimenti nazionali, non da prelievi diretti di imposte. Proseguire su questa strada sarebbe insostenibile con nuove, corpose emissioni di debito comune. L’alternativa sarebbe trasferire maggiori poteri in capo alla Commissione, vale a dire la capacità di imporre imposte su redditi, patrimoni e consumi. E’ quello che vogliamo? I cittadini risulterebbero contribuenti diretti di un’entità scarsamente controllata e controllabile, essendo distante, pletorica e poco “accountable” sul piano politico.
Debito comune possibile trappola
L’Italia crede che il debito comune le serva per abbattere lo spread e la spesa per interessi.