Il debito pubblico italiano è sceso a settembre a 2.212 miliardi di euro, segnando un calo di circa 40 miliardi in un paio di mesi. Non si tratta di un’inversione di tendenza, bensì dell’utilizzo da parte del Tesoro delle scorte di liquidità accumulate nella prima parte dell’anno, approfittando dei bassissimi rendimenti. Decimale più, decimale meno, a seconda che si considerino i calcoli della Commissione europea o quelli appena più positivi del governo italiano, il rapporto tra debito e pil quest’anno chiuderà nel nostro paese a circa il 133%, un livello mai registrato prima.
La sostanza resta quella dell’ultimo quarto di secolo: l’Italia è un paese ultra-indebitato e finge di non rendersene conto, oppure peggio, non si rende conto davvero. Si succedono i governi, ma ognuno di loro ha una giustificazione per rassicurare contro il mancato risanamento dei conti pubblici. Si spazia dal fatto che le famiglie italiane siano tra le più ricche al mondo (e allora?) alla capacità di gestire questo enorme stock di passività, passando per l’ottimismo sulle prospettive economiche future.
Come varia il debito rispetto al pil
I numeri ci dicono, invece, che ci sarebbe poco da scherzare con le parole. Il rapporto tra debito e pil varia a seconda di quanto cresca l’uno e quanto aumenti l’altro. La crescita del debito pubblico è il deficit, quello su cui ieri la Commissione europea ha lanciato l’allarme, sostenendo che al netto delle componenti eccezionali, tenderebbe a salire, quando dovrebbe scendere in rapporto al pil.
Il deficit a sua volta è frutto della somma tra saldo primario e della spesa per interessi sul debito accumulato.