Deficit più alto della crescita del pil
Il deficit può essere contenuto, quindi, tenendo a bada la spesa pubblica da un lato e irrobustendo le entrate fiscali dall’altro. Senonché queste ultime sono già altissime, per cui sarebbero da tagliare le uscite o quanto meno da “congelare”. La spesa per interessi, invece, non è una variabile nelle mani del governo, perché dipende dai mercati. Lo stato può contenerla, mostrandosi finanziariamente solido e attirando la fiducia degli investitori, ma il discorso vale fino a un certo punto, perché un debito al 133% è pur sempre elevato e gli interessi gravanti su di esso incidono parecchio sul bilancio pubblico.
Quanto al pil, esso cresce in funzione del pil reale da un lato e dell’inflazione dall’altro. In Italia, l’indice dei prezzi è ancora leggermente negativo e la crescita economica inferiore all’1%. Risultato? Il pil nominale cresce un terzo del deficit. (Leggi anche: Flessibilità sul deficit? Non è opzione per Italia)
Costo debito in calo solo grazie a Draghi
Contrariamente a certa narrativa ottimistica, l’Italia non starebbe dirigendosi verso la soluzione dei suoi problemi, ma al contrario ha più probabilità di tornare a quel terribile 2011, l’anno della crisi dello spread. Il rialzo dei rendimenti tende, infatti, a fare aumentare il deficit, mentre la deflazione strisciante in cui la nostra economia ancora versa spinge per azzerare la crescita.
L’effetto combinato di questi fenomeni si traduce in un tendenziale aumento del rapporto debito/pil. A titolo di esempio, grazie al “quantitative easing” della BCE, il costo medio del debito emesso nel 2015 è stato del 3,39%, mentre era al 3,61% nel 2011. In rapporto al pil, abbiamo speso lo scorso anno il 4,2% per pagare gli interessi, ma cosa accadrà, quando i rendimenti dei BTp torneranno a salire, come stanno già facendo da qualche mese? (Leggi anche: Debito pubblico, risanamento più difficile con fine tassi zero)