Sono stati giorni intensi per il Tesoro, che questa settimana ha emesso il BTp Valore, primo collocamento del nuovo bond riservato esclusivamente alle famiglie. Le richieste sono state elevatissime, decretando un successo oltre ogni rosea aspettativa. Ma la corsa ai titoli del debito pubblico tra gli italiani non è partita nei giorni scorsi. Essa è iniziata già nei primi mesi dello scorso anno, quando si riaffacciava nelle nostre vite quotidiane una parola rimasta fuori dal vocabolario per qualche decennio: inflazione. Se n’era parlato negli anni prima del Covid per dire che sembrava essere sparita dai radar.
I titoli del debito pubblico erano sprofondati a rendimenti negativi fino alle medio-lunghe scadenze. Bisognava spostarsi su scadenze lunghissime per ottenere rendimenti in apparenza accettabili. Tuttavia, ciò comportava alti rischi. Non sono tante le famiglie che possono privarsi della liquidità per 20, 30 o più anni. Inserire in portafoglio BTp di tale durata significava essenzialmente esporsi al rischio di doverli rivendere in futuro a quotazioni assai inferiori. Ed è accaduto proprio questo con il boom dell’inflazione, accompagnato dal forte rialzo dei rendimenti sovrani e corporate.
Retail domestico rimpiazza capitali stranieri
Nel frattempo, lo stato ha emesso nuovi titoli del debito pubblico con cedole sempre più alte. Quelli già in circolazione, invece, hanno visto precipitare i prezzi e impennare i rendimenti. Improvvisamente è diventato di nuovo proficuo investire nei BTp. E possiamo affermare che le famiglie italiane starebbero salvando i conti pubblici da un trend altrimenti assai peggiore. Al termine del febbraio scorso – ultimo dato disponibile – esse possedevano poco più di 217 miliardi di euro di titoli di stato nazionali, in aumento di 74,2 miliardi da fine 2021. Questo significa che hanno acquistato l’80% del debito pubblico netto emesso in questo frangente.
Nello stesso periodo di tempo, gli investitori stranieri hanno ridotto le loro esposizioni verso il debito pubblico italiano di 67,6 miliardi a quasi 619 miliardi.
Sappiamo, poi, che la Banca Centrale Europea (BCE) ha iniziato a chiudere i rubinetti della liquidità nel giugno dello scorso anno, quando sono cessati gli acquisti di bond con il Quantitative Easing. Da allora, però, la quota di debito pubblico in mano alla Banca d’Italia non è diminuita, anzi è aumentata in valore di oltre 7 miliardi. Dal prossimo mese di luglio, però, i riacquisti dei bond in scadenza saranno azzerati dopo essere già stati tagliati dal marzo scorso. Nel periodo luglio 2022-febbraio 2023, a fronte di un debito sostanzialmente stabile (+1,1 miliardi), gli acquisti netti delle famiglie italiane sono stati pari a 56,5 miliardi e i deflussi dei capitali stranieri di 39,3 miliardi.
Investimenti famiglie nel debito pubblico calmiera spread
Questi dati spiegano meglio di tante parole la ragione per cui l’allarme spread non sia scattato, pur essendo lievitato fino ai 250 punti nel corso del 2022. L’aumento dei tassi d’interesse avrebbe potuto affievolire la percezione della sostenibilità del debito pubblico italiano all’estero. Ma la minore domanda tra gli investitori stranieri è stata più che rimpiazzata dalla maggiore domanda tra le famiglie italiane. Un trend opportuno dopo anni di fuga delle stesse. Di questo passo, la quota nelle loro mani salirà presto alla doppia cifra. E da dove arrivano questi risparmi? Per quanto la risposta possa apparire semplicistica, grosso modo dai conti bancari. Questi si sono svuotati di 66,7 miliardi tra dicembre 2021 e febbraio 2023, il periodo sopra considerato.
Dunque, le famiglie stanno spostando risparmi dai conti a favore dei titoli del debito pubblico.