Il debito pubblico italiano con l’euro è cresciuto il doppio del PIL

Il debito pubblico italiano è cresciuto circa il doppio del PIL nominale da quando siamo entrati nell'euro.
11 mesi fa
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Debito pubblico italiano dal '99 cresciuto il doppio del PIL
Debito pubblico italiano dal '99 cresciuto il doppio del PIL © Licenza Creative Commons

Patto di stabilità e Mes ci hanno ricordato sotto Natale che l’Italia ha avuto, ha e avrà anche nel prossimo futuro un gigantesco problema che risponde al nome di debito pubblico. Tutti i governi che si sono succeduti a Palazzo Chigi negli ultimi trenta anni – e sono stati tanti e di tutti i colori possibili – hanno invocato in Europa la tanto ambita “flessibilità”. Il termine appare positivo e si contrappone alla rigidità di stampo teutonico che a noi sudeuropei piace poco.

E’ giusto e conveniente avere regole fiscali flessibili. Anzi, sarebbe persino opportuno non averne, a patto che tutti ci comportiamo responsabilmente. E così non è.

Nord contro Sud Europa

Se l’Eurozona o l’Unione Europea includesse solo i paesi del Nord, probabilmente non esisterebbe alcun Patto di stabilità. Tedeschi, finlandesi, svedesi, danesi, olandesi, ecc., sono soliti chiudere i bilanci anche in attivo quando l’economia cresce. Non hanno bisogno di un ente esterno che imponga loro di tendere al pareggio. E quando le cose vanno male, cercano di spendere nei limiti dell’opportuno. Non si capacitano perché noi popoli del Sud non facciamo altrettanto. Mettiamoci nei loro panni e capiremo tante cose.

Tornando al debito pubblico italiano, ciò che spaventa all’estero è che tende a non scendere mai in rapporto al PIL nemmeno quando l’economia cresce. Se la tendenza è sempre solo rialzista, si chiedono cancellerie e mercati, cosa accadrà tra alcuni anni? Pensabile che il buon nome del Nord Europa sul piano delle politiche fiscali serva a mantenere calmi gli investitori e le agenzie di rating? E in cambio di cosa?

Debito pubblico cresciuto il doppio del PIL dal ’99

Negli ultimi venticinque anni, cioè dalla nascita ufficiale dell’euro, il debito pubblico in valore assoluto è cresciuto di circa 1.570 miliardi di euro. Il PIL nominale nello stesso frangente di appena 900 miliardi.

Praticamente, il primo quasi ha doppiato il secondo. Questo significa che ogni anno produciamo più debiti che ricchezza. Non un bel biglietto di visita per chi volesse investire nel nostro Paese o ci guardasse da fuori.

Da molti anni, poi, ci siamo incartati in una discussione di stampo keynesiano: senza crescita non riusciamo a ridurre il debito pubblico, ma per crescere più velocemente serve fare più debito. I dati internazionali, già citati dal Fondo Monetario, dimostrano l’esatto contrario: superato un certo rapporto, il debito pubblico tende a stimolare sempre meno il PIL. E ciò accade persino negli Stati Uniti, dove dal 2007 sono serviti 2 dollari di debito per ottenere 1 dollaro di PIL. Anche in questo caso, quindi, la crescita del primo ha doppiato quella del secondo fino a far schizzare il rapporto a ridosso del 130% nel 2022.

Spesa per interessi abnorme

I sostenitori della dottrina keynesiana eccepiscono che il debito pubblico, a differenza di quello di famiglie e imprese, non va mai realmente ripagato. Basta rinnovarlo di scadenza in scadenza. Ed è vero. Ma ha un costo. Da quando siamo nell’euro, come italiani abbiamo speso quasi 1.800 miliardi per gli interessi. Pensate a quello che avremmo potuto fare con quel denaro. Avremmo pagato molte meno imposte, avuto maggiori investimenti nei servizi pubblici; insomma, saremmo stati meglio. Realisticamente, nessuno immagina che avremmo potuto azzerare tale costo, ma se solo avessimo potuto e saputo dimezzarlo, ci saremmo ritrovati con 900 miliardi in meno di spesa, che ad occhio e croce fanno più di 15 mila euro per abitante, neonati compresi.

Un paese in queste condizioni non cerca regole contabili che gli consentano di indebitarsi ulteriormente, bensì soluzioni per ridurre la sua propensione all’indebitamento. In Italia, non è mai stato così. Al di là di una politica miope, caratterizzata da governi di brevissima durata e con una visione corta sui fatti, esiste un fattore culturale che come popolo ci spinge a minimizzare la gravità del problema.

E dire che nel privato siamo tradizionalmente formiche, con famiglie e imprese tra le meno indebitate nel mondo avanzato. Ma in Italia, si sa, ciò che è pubblico non è considerato nostro. Per questo sporchiamo le strade e per questo chiediamo alla politica di fare ancora più debiti.

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Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
Il suo motto è “Il lettore al centro grazie a una corretta informazione”; ogni suo articolo si pone la finalità di accrescerne le informazioni, affinché possa farsi un'idea dell'argomento trattato in piena autonomia.

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