Il successo di alcune emissioni chiave, tra cui il BTp Italia maggio 2025 e il nuovo “benchmark” a 10 anni con scadenza dicembre 2030, ci ha probabilmente fatto perdere di vista la difficoltà del Tesoro di collocare sul mercato tutti i titoli del debito pubblico italiano di cui ha bisogno per rimborsare le scadenze e per provvedere all’elevatissimo fabbisogno finanziario scaturito dal collasso del pil, a sua volta provocato dalla crisi sanitaria. I dati forniti da Mazziero Research non lasciano margini di dubbio: dopo l’estate, in presenza di eventuali fattori di tensione, l’Italia rischia grosso sui mercati.
Il costo della sfiducia nell’Italia: 900 miliardi di maggiore debito pubblico in 20 anni
A settembre, arrivano a scadenza titoli di stato per 38,7 miliardi, mentre a ottobre se ne hanno per altri 40,5 miliardi, culminando a novembre con 43,2 miliardi e scendendo ai 18,9 miliardi di dicembre. In tutto, negli ultimi quattro mesi dell’anno, che per ragioni spicciole facciamo coincidere con l’autunno, il Tesoro dovrà emettere debito per oltre 140 miliardi al solo fine di rimborsare le scadenze. Ma sappiamo che serviranno tante altre entrate per finanziare le misure di spesa decise già dal governo per sostenere i redditi e per tamponare i grossi “buchi” di bilancio che la crisi sta provocando.
Lo stesso Mazziero stima il debito pubblico a fine anno in area 2.580 miliardi. Facendo quattro conti e ipotizzando un crollo del pil nominale del 10%, riteniamo che non solo questo dato sia altamente probabile, ma anche che possa venire superato. Non escludiamo, infatti, che lo stock esploda in area 2.600 miliardi. Questo significa, quindi, che per l’anno in corso servirebbero emissioni nette per circa 180-200 miliardi. Quante emissioni nette il Tesoro ha già effettuato ad oggi? L’ultimo dato ufficiale sul debito pubblico riguarda al 31 marzo scorso, quando risultava salito a 2.431 miliardi.
Il muro dei 200 miliardi in autunno
Sempre Mazziero lo stima in salita a 2.465 miliardi per aprile e per 2.516-2.520 miliardi per fine giugno.
Il conto complessivo per il periodo settembre/dicembre lieviterebbe a quasi 200 miliardi, un importo elevato non solo in valore assoluto, ma anche rapportato al pil atteso a fine anno, in quanto equivarrebbe a 12 punti percentuali. Si tratta di cifre da fare tremare i polsi, anche perché nell’ultimo periodo dell’anno la liquidità inizia a scemare sui mercati, con gli investitori che hanno già la mente rivolta alla chiusura dei bilanci, più che ai nuovi impieghi. E si consideri anche che, tra possibile crisi politica a Roma (si dovrà redigere la legge di Stabilità per il 2021 in un clima certamente difficilissimo) e una seconda ondata di contagi non esclusa dai virologi, la paura tra gli investitori potrebbe prevalere, quando già oggi ai BTp vengono richiesti rendimenti a premio per circa 200 punti base rispetto alla curva tedesca.
L’Italia è sempre più sola con suo debito pubblico. E rischiamo un autunno incandescente
Il sostegno europeo
Vero, per fortuna c’è la BCE, che ha potenziato il PEPP di 600 miliardi (il budget extra verrà speso interamente solo nel primo semestre 2021?), portando gli acquisti complessivi a oltre 1.700 miliardi, di cui una quota di almeno 230 miliardi spettante certamente ai BTp, superiore al valore delle emissioni nette ipotizzate per quest’anno.
Infine, il “Recovery Fund”. Qui, però, non solo gli aiuti arriverebbero più tardi del previsto, forse solo a partire dal 2021, ma non riguarderebbero capitoli di spesa ordinari, bensì investimenti per il rilancio dell’economia dopo il Covid-19. Dunque, lascerebbero le emissioni nette di quest’anno intatte. Per questo, il muro da 200 miliardi che si presenta dinnanzi ai nostri occhi dopo l’estate non fa dormire sonni tranquilli in Via XX Settembre, dove tutti sanno che il successo dei BTp alle aste recenti è dovuto soprattutto all’offerta di rendimenti elevati nel confronto internazionale, se non fuori mercato per gli stessi parametri attuali del Bel Paese. Si pensi al BTp Italia. E c’è il rischio di dover ripetere operazioni simili per sfangare l’emergenza per ritrovarci subito dopo a gestire una spesa per interessi meno in calo delle previsioni, quando già ci sarà da mettersi le mani tra i capelli per le macerie lasciate dalla più potente crisi economica dal Secondo Dopoguerra.
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