Dopo Draghi arriva un “falco”
Draghi taglierà gli stimoli monetari fino ad eliminarli entro la metà dell’anno prossimo con ogni probabilità, mentre tra la fine del 2018 e l’inizio del 2019 è verosimile che inizi ad alzare i tassi, magari partendo da quelli sui depositi overnight. Tra due anni e mezzo, però, alla guida della BCE non ci sarà più lui, in quanto il mancato gli scadrà il 31 ottobre 2019. Ciò significa essenzialmente una cosa: la stretta vera e propria non sarà gestita dall’italiano, ma da un suo successore, che stando ai rumors di questi mesi dovrebbe essere un tedesco.
Si scalda per la successione il governatore della Bundesbank, il “falco” Jens Weidmann, che da un anno a questa parte limita gli attacchi alla politica di Draghi, ambendo a costruirsi un ampio consenso nel board, in prospettiva proprio della scelta di colui che dovrà insediarsi a capo dell’istituto dal novembre 2019. I mercati capiscono che una cosa sarebbe una stretta gestita da un italiano incline a politiche accomodanti e che in questi anni ha dimostrato con i fatti di tenere in debita considerazione la situazione difficile dell’Italia, un’altra sarebbe una presidenza Weidmann, che porrebbe maggiormente l’accento sulla stabilità dei prezzi e richiederebbe ai paesi membri dell’Eurozona maggiore rigore sui conti pubblici. (Leggi anche: Debito pubblico su, rendimenti giù e la crisi che verrà)
Cambieranno anche le condizioni politiche
Per essere chiari, i tempi “d’oro” per l’economia italiana stanno finendo. Non solo le condizioni sui mercati finanziari saranno molto meno favorevoli nei prossimi anni, ma anche sul piano politico non ci sarà più quell’occhio di riguardo per il nostro debito, che ad oggi a Francoforte è sempre attento a non creare più difficoltà a Roma di quante non ne abbia già. E questo indifferentemente da come si chiamerà il successore di Draghi, perché per la politica dei pesi e contrappesi nell’unione monetaria, a un governatore del sud succede uno del nord, dopo una “colomba” il posto spetta a un “falco”.
Non solo. Anche il Parlamento europeo si rinnoverà tra due anni e la Commissione di Bruxelles, che sotto la presidenza di Jean-Claude Juncker è stata piuttosto benevola con i paesi “spendaccioni”, sarà guidata probabilmente da un’altra personalità meno “stravagante” sul piano caratteriale e più rispettosa sia delle regole che dei “diktat” di Berlino, specie se la cancelliera dovesse ottenere il suo quarto mandato alle elezioni di settembre. L’era della valutazione dei bilanci nazionali con occhi politici potrebbe finire e i deficit fiscali tornerebbe ad essere giudicati per quello che sono. Insomma, l’Italia sappi che la pacchia finirà presto. (Leggi anche: Debito pubblico, austerità vera arriva con rialzo dei tassi)