Banca d’Italia snocciola gli ultimi dati sul debito pubblico, che nel mese di aprile ha segnato l’ennesimo record in valore assoluto. Lo stock è lievitato a 2.680,5 miliardi di euro, +29,3 miliardi rispetto a marzo. Praticamente, è cresciuto alla media di quasi 1 miliardo al giorno. E se è vero che parte di questa crescita sia dovuta all’accumulo di liquidità da parte del Tesoro (+17,1 miliardi a 101,8 miliardi), d’altra parte già quest’anno siamo a +111,2 miliardi. E non è per niente finita. Stando alle stesse indicazioni arrivate dal governo in sede di Def, il deficit nell’intero 2021 dovrebbe salire all’11,8% del PIL.
Questo significherebbe che l’indebitamento netto dovrebbe lievitare sopra i 200 miliardi. A fine dicembre, quindi, il debito pubblico italiano si attesterà verosimilmente in area 2.775 miliardi. Un conto salatissimo quello che ci lascerebbe in eredità la pandemia, se pensiamo che al 31 dicembre 2019, il debito pubblico fosse ancora “solamente” a 2.410 miliardi. In un paio di anni, risulterà schizzato di oltre 360 miliardi. E gli strascichi si noteranno ancora per qualche anno, per cui non è peregrino prevedere che alla fine il Covid ci sarà costato qualcosa come 500 miliardi.
Debito pubblico sostenibile? I numeri
Grazie alla BCE e al suo estremo accomodamento monetario, il nostro debito pubblico è e resta sostenibile. La spesa per interessi si manterrà anche quest’anno nei pressi dei 65 miliardi. Il tasso implicito scenderà, quindi, in area 2,3-2,4%. All’epoca della prima crisi dello spread – eravamo nel 2011 – si attestava al 4%. Insomma, sembra che siamo ben lontani da un allarme. Eppure, la logica con cui guardiamo alla sostenibilità di un debito andrebbe rivista sulla base di altri parametri.
Un debito è sostenibile se si riesce a pagare senza problemi. E questo si ha quando coloro che pagano sono tanti e/o producono tanta ricchezza. In Italia, il numero dei lavoratori (privati e pubblici, dipendenti e autonomi) è relativamente scarso.
In pratica, ciascun lavoratore italiano avrebbe un mutuo sulle spalle quadruplo rispetto al suo reddito. E le cose si complicano se prendiamo in considerazione i soli lavoratori del settore privato. Facciamo una precisazione: i lavoratori pubblici contribuiscono a portare avanti il sistema-Italia, fornendo preziosi servizi come istruzione, sanità, sicurezza, giustizia, Pubblica Amministrazione, etc. Ma i loro stipendi sono pagati attingendo al gettito fiscale generato dal settore privato, senza il quale lo stato non avrebbe risorse per mantenere sé stesso. Ecco, suddividendo lo stock del debito per i 20 milioni di occupati nel privato, otteniamo un importo medio di 134.000 euro, 4,5 volte il PIL pro-capite.
Il prezzo della sostenibilità
Se questi numeri iniziano già a farvi traballare la certezza che il nostro sia un debito pubblico sostenibile, dovete anche tenere conto dell’incidenza della spesa per interessi sui soli redditi dei lavoratori. Tenendo in considerazione tutti i 23,3 milioni di occupati pre-Covid, i 65 miliardi sopra indicati farebbero 2.800 euro a testa, qualcosa come circa il 9,5% del reddito. Se ci limitiamo ai 20 milioni di occupati del settore privato, l’incidenza sale a 3.250 euro all’anno, il 10% del reddito medio. Questo significa che mediamente un dipendente del settore privato o un lavoratore autonomo avrebbe sulle spalle una rata di soli interessi per oltre 270 euro al mese.
Per quanto ci possano sembrare numeri teorici – nella vostra testa starete pensando che si tratti di fuffa allarmistica – la realtà dei fatti è questa.