La Nota di Aggiornamento al DEF (NADEF) ha messo nero su bianco che il debito pubblico italiano rallenterà la discesa nei prossimi anni. Un po’ era scontato, dato che il rimbalzo del PIL nel biennio 2021-2022, seguito al crollo nel 2020 per le restrizioni anti-Covid, aveva fatto risalire il denominatore. Il rallentamento dell’economia italiana sta contribuendo non poco a peggiorare le previsioni. Il grosso, tuttavia, lo stanno facendo i bonus a pioggia propinati in era Covid. Fu il governo Conte a devastare le finanze statali nel 2020.
Bonus a pioggia, poco coraggio da Draghi
Il salto di qualità si ebbe nella primavera del 2020 con l’annuncio del Superbonus 110: ristrutturazioni edilizie gratis, pur a condizioni stringenti. La tecnica della cessione dei crediti era stata inventata qualche anno prima con il bonus facciate 90%. Al governo c’era Paolo Gentiloni. Il costo stimato dall’esecutivo “giallo-rosso” fu di 35 miliardi di euro in più anni. Per il bonus facciate, sarebbe stato di appena 6. A consuntivo, la somma dei due interventi si aggira già sui 120 miliardi. Tutto a carico del debito pubblico.
L’ex premier Mario Draghi cercò sin dall’inizio di limitare i danni, ma alla prova dei fatti non ebbe il coraggio di spingersi più di tanto. Puntava palesemente all’elezione a presidente della Repubblica nel gennaio 2022 e gli serviva una maggioranza granitica allo scopo. Non avrebbe potuto irritare il Movimento 5 Stelle, cancellando o depotenziando un suo provvedimento-bandiera. Non è un caso che il premier-banchiere alzò la voce solo successivamente alla sua mancata elezione al Quirinale. E la caduta si ebbe proprio, pur formalmente, sul Superbonus.
Rendimenti su, costi per contribuenti esplodono
Il debito pubblico costava pochissimo in era Covid. Alla fine del 2020, il rendimento medio lordo ponderato dei nostri titoli di stato sul mercato era di appena lo 0,25%. A settembre di quest’anno, risultava esploso al 4,17%. Avete presenti i 120 miliardi in deficit, solo per limitarci ai bonus edilizi? Su base annua ci costeranno qualcosa come 5 miliardi lordi. Basandoci sulle stime del governo Conte e sui rendimenti di allora, avrebbero dovuto pesare sui conti pubblici per qualche centinaio di milioni all’anno.
La scarsa capacità di guardare al futuro è sempre stata il male dell’Italia. Ogni governo non va oltre il proprio naso. Giuseppe Conte spese decine e decine di miliardi per voci dall’impatto nullo sulla crescita del PIL, ma le cui conseguenze si ripercuoteranno anche nei prossimi anni, avendo gonfiato lo stock di debito pubblico da rifinanziare. Se sui bonus edilizi possiamo discutere circa il loro sostegno all’economia, tra bonus vacanze, terme, psicologo e chi ne ha e più ne metta, l’evidenza è sotto gli occhi di tutti. Si è fatto clientelismo spicciolo a spese dei contribuenti.
Calo debito pubblico a rischio
Il risultato è che al 2026 la NADEF vede ora il debito pubblico in calo solo al 140,4% del PIL dal 144,4% del 2022. Potrà andare anche peggio. Se Eurostat riclassificherà il Superbonus e ne caricherà i costi agli anni prossimi, scalandoli dal deficit del triennio scorso, il rapporto debito/PIL salirà, anziché scendere. Si tratta di formalismi contabili, ma i mercati guardano i numeri e notano che di crisi in crisi il debito pubblico italiano sale e la crescita economica non decolla. C’è stata un’illusione di massa tra il 2021 e il 2022. Lo ha ammesso giorni fa la premier Giorgia Meloni, quando ha dichiarato che l’Italia ha confuso il “dead cat bounce” (il rimbalzo del gatto morto) per un boom economico.
Con il Pnrr non sta andando meglio. Abbiamo a disposizione circa 200 miliardi in sei anni per potenziare il tasso di crescita del PIL a medio-lungo termine. Avremmo dovuto puntare su opere pubbliche non più rinviabili, come i collegamenti ferroviari, strade, porti, aeroporti, lotta al dissesto idrogeologico, rinnovo della rete idrica, ecc. Ancora una volta abbiamo optato per spendere senza criterio, tra piste ciclabili, allargamento di qualche stadio e costruzione di minuscoli musei dalla dubbia attrattiva. Peccato che gran parte di questi investimenti finiranno anch’essi nel calderone del debito pubblico. E più salgono i tassi di mercato, maggiori i costi che ricadranno su tutti noi contribuenti, mentre maggiore diventa il tasso di crescita necessario per giustificare la spesa.