Dietrofront del debito pubblico italiano nel mese di novembre dopo l’ennesimo record assoluto raggiunto ad ottobre. Lo stock si è ridotto di 12,6 miliardi di euro a 2.855,045 miliardi. Un calo da attribuire per 12,9 miliardi alla riduzione delle disponibilità liquide del Tesoro a 39,6 miliardi. Solo in minima parte (-0,8 miliardi) è stato dovuto all’avanzo di amministrazione. In senso opposto hanno inciso gli scarti di emissione, la rivalutazione dei titoli indicizzati all’inflazione e la variazione dei tassi di cambio per 1,1 miliardi.
Dunque, il debito pubblico italiano è sceso essenzialmente perché il Tesoro ha deciso di impiegare buona parte delle riserve liquide che aveva accumulato nei mesi precedenti per mettersi al sicuro rispetto alle possibili tensioni sui mercati.
Tornano investitori stranieri e famiglie
Se depuriamo i dati sulle riserve da quelli relativi al debito pubblico, notiamo che lo stock è aumentato su base annua di quasi 110 miliardi. In altre parole, continua a crescere al ritmo poco rassicurante di oltre 9 miliardi al mese. Troppi per poter essere considerato sostenibile. Per fortuna, esistono anche dati positivi. Ad ottobre, mese in cui lo stock era lievitato di ben 23,5 miliardi, i titoli di stato in mano agli investitori stranieri sono aumentati di 8,72 miliardi e quelli in mano alle famiglie italiane di ben 22,47 miliardi. Sommando le rispettive detenzioni, troviamo che la loro crescita ha superato quella del debito pubblico di quasi un terzo (1,32 volte).
E così, la quota degli investitori stranieri relativa ai soli bond è leggermente salita dal 22,8% al 22,9%, mentre quella delle famiglie residenti è esplosa dal 10,5% all’11,2%. Dalla fine del 2021, gli italiani hanno acquistato titoli del Tesoro per 180 miliardi netti. Al 31 ottobre scorso, ne possedevano per 322,31 miliardi. E il boom di ottobre è da collegarsi all’emissione del BTp Valore 2028, il secondo della serie.
BTp Valore attira boom di domanda tra famiglie italiane
A giugno, la prima emissione riscosse ben 18,3 miliardi contro i 17,2 miliardi di tre mesi fa. Un successo oltre ogni previsione, che ha indotto il Tesoro a considerare una o più emissioni anche per il 2024. Gli italiani hanno voluto spostare liquidità dai conti correnti per approfittare del forte balzo dei rendimenti sovrani e corporate. Nei primi undici mesi dello scorso anno, i depositi in banca sono diminuiti di oltre 114 miliardi. Nel frattempo, gli investimenti in obbligazioni bancarie sono cresciuti di 36 miliardi.
Grazie alla forte domanda di BTp tra le famiglie lo spread ha potuto restare contenuto e persino contrarsi negli ultimi mesi. E questo, malgrado emissioni lorde per 516 miliardi di euro nel solo 2023 e che quest’anno potrebbero risultare ancora più alte. Ma attenzione ad autocompiacersi troppo. Le famiglie hanno comprato titoli di stato solo perché sono diventati più allettanti, non certo per un ritrovato orgoglio patriottico. Questo significa, però, che il Tesoro ha potuto rifinanziarsi sui mercati a costi elevati. In effetti, in media nel 2023 ha emesso debito pubblico al 3,76% dall’1,71% dell’anno precedente.
Emissioni di debito pubblico restano altissime
Nel 2024 i rendimenti smetteranno di salire e, verosimilmente, scenderanno ancora un po’ dopo la corsa dei prezzi tra ottobre e dicembre dell’anno appena trascorso. Nel frattempo i tassi sui depositi bancari si dovrebbero adeguare alle mutate condizioni di mercato, cosa che di recente hanno iniziato a fare. In sostanza, i BTp avranno più concorrenti e risulteranno meno appetibili. Le emissioni di debito pubblico, invece, resteranno elevatissime. C’è da finanziare un deficit fiscale nell’ordine dei 90 miliardi, oltre che bond a medio-lungo termine in scadenza per circa 260 miliardi.
Le prime indicazioni emerse quest’anno con il record di domanda al collocamento sindacato per il nuovo BTp a 7 anni e la riapertura del BTp a 30 anni, nonché dall’emissione in asta dei BoT annuali e del nuovo BTp a 3 anni, appaiono positive. Gli ordini si sono rivelati robusti e i rendimenti in calo. Ma ancora una volta dobbiamo evitare un eccesso di fiducia. Le tensioni in Medio Oriente non sono rassicuranti. Basta un colpo di fucile in più per scatenare non solo una recrudescenza bellica allarmante, ma anche per rinfocolare l’inflazione e allontanare il taglio dei tassi. Il contraccolpo sui rendimenti si trasmetterebbe nel giro di poco.