Poche ore e avremo forse il nome del vincitore di queste elezioni presidenziali negli Stati Uniti. Una speranza più che certezza. C’è il rischio di contestazioni del voto e di un rinvio della proclamazione del vincitore di diversi giorni. Un voto che avrà grosse ripercussioni anche sull’Europa e forse come mai prima sulla Germania, il cui governo federale rischia in questi giorni di cadere sulle forti divisioni nella maggioranza riguardo alla legge di Bilancio. Il nome del prossimo presidente sarà determinante per capire la possibile direzione per la prima economia europea.
Effetto Trump su debito tedesco
Donald Trump è un sostenitore del taglio delle tasse da un lato e dell’aumento degli investimenti pubblici dall’altro. Due misure di politica economica entrambe espansive. Accanto a ciò egli propugna l’aumento dei dazi sulle merci cinesi e di quei paesi come il Messico che non riescono a controllare i flussi migratori verso gli Stati Uniti. Questa è la ragione essenziale per la quale l’Unione Europea si mostra contraria al suo secondo mandato. Una “guerra” commerciale tra potenze economiche rischia di picconare ulteriormente la già vacillante globalizzazione e di mandare KO l’economia continentale basata sull’export.
La Germania è uscita dalla crisi post-riunificazione grazie alle esportazioni. Il loro boom si deve a due ingredienti fondamentali: austerità fiscale e apertura dei mercati. I governi di Bonn prima e Berlino dopo che si sono succeduti negli ultimi trenta anni, hanno tutti puntato sul contenimento della spesa pubblica. Inoltre, sindacati e imprese hanno concordato a suo tempo una politica di moderazione salariale per rinvigorire la produttività del lavoro. Queste misure hanno contenuto la domanda interna e spinto le imprese tedesche a trovare mercati di sbocco per vendere le loro merci.
Modello tedesco in crisi
Il modello tedesco si è rotto a causa di un combinato di fattori sfavorevoli: le importazioni di petrolio e gas a basso costo dalla Russia si sono fermate e la globalizzazione è in via di parziale disfacimento per effetto di barriere tariffarie e non. La Germania ha smesso di crescere, anzi va all’indietro. Come uscire dalla spirale recessiva? La soluzione più logica sembrerebbe quella di rilanciare la produttività come negli anni Novanta. Questo comporterebbe il taglio dei costi aziendali. Con un tasso di occupazione ancora sopra il 75% e livelli salariali medio-alti nel confronto internazionale, i tedeschi potrebbero permettersi di sacrificare qualche posto di lavoro e di “congelare” gli stipendi per qualche tempo. Il beneficio a lungo termine supererebbe il costo immediato sostenuto.
Ma con Trump alla Casa Bianca cambierebbe tutto. Avrebbe senso puntare ancora una volta sulle esportazioni, se la prima economia mondiale indirizza l’intero pianeta verso una chiusura commerciale? A quel punto, alla Germania non resterebbe che stimolare la domanda interna. Come? Aumentando gli investimenti pubblici. E ce ne sarebbe bisogno in ogni caso, dato che le infrastrutture sono vecchie e spesso non all’altezza di un’economia moderna. Il sistema è rimasto indietro sulla digitalizzazione, le magagne sono emerse durante il Covid. La sanità registrò forti rallentamenti nell’implementare il piano delle vaccinazioni, dovendo fare i conti con una montagna di carte da far firmare ad ogni paziente.
Anni di bilancio in attivo
Il debito tedesco nel 2023 si attestò sotto il 63% del Pil. Poco prima del Covid era sceso fin sotto la soglia del 60% fissata dal Patto di stabilità. La Germania dispone di enormi margini fiscali. Se anche infrangesse il tetto del deficit al 3%, Bruxelles non solo non aprirebbe alcuna procedura d’infrazione, ma le stringerebbe la mano. Da anni i commissari denunciano gli squilibri macroeconomici tedeschi, che consistono in surplus correnti eccessivi.
La Costituzione prevede un “freno” al debito tedesco (“Schuldenbremse”). La regola aurea introdotto agli inizi del decennio passato vuole che il disavanzo dei conti pubblici non superi lo 0,35% del Pil nell’intero anno. Prima del Covid la Germania era riuscita a mettere a segno anno dopo anno corposi avanzi di bilancio grazie alla politica dello “Schwarze Null”. In pratica, le sue entrate più che coprivano le spese e, anziché salire, il debito pubblico scendeva sia in rapporto al Pil che in valore assoluto. Un caso più unico che raro nel mondo moderno.
In Germania resta tabù fiscale
Nessuno immagini che se anche vincesse oggi Trump, da domani il debito tedesco salirebbe senza remore. A parte che la previsione costituzionale resta in piedi fino ad eventuale modifica (e non è nell’aria nulla del genere), la politica tedesca teme da sempre la sanzione elettorale nel caso in cui infrangesse il tabù fiscale. Gli elettori qui puniscono alle urne i partiti percepiti come spendaccioni con i denari pubblici. Come uscirne? Berlino potrebbe accettare la clausola sugli investimenti pubblici sostenuta da Francia e Italia: sì a maggiore debito, a patto che esso serva per potenziare la crescita di medio-lungo termine.
Non sarebbe un percorso lineare. Il governo del cancelliere Olaf Scholz, che sarà ricordato come il peggiore dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, al più tardi arriverà al capolinea tra meno di un anno. Al suo posto, sondaggi alla mano, arriverà un governo più spostato a destra, guidato dai conservatori di Friedrich Merz. I numeri dicono che avranno bisogno di almeno un altro partito per formare una maggioranza e non è escluso che siano gli stessi socialdemocratici i futuri alleati, come lo sono stati in tre delle quattro legislature passate. Le opposizioni di oggi, compresi gli euroscettici dell’AfD, chiedono un taglio al debito tedesco e non certo una sua crescita.
Debito tedesco su con incognita Trump?
Il cambio di paradigma sarebbe traumatico sul piano ideologico e della governance quotidiana. Per questa ragione è ipotizzabile che la Germania nei prossimi anni cerchi di rilanciare la crescita agendo più sull’innovazione e sullo svecchiamento della burocrazia. Serviranno comunque quattrini per accompagnare le imprese nel processo di digitalizzazione. Un aumento del debito tedesco resterebbe un tabù, a meno che non venga venduto agli elettori come un fatto temporaneo e limitato. Gli indugi sarebbero rotti solo nel caso in cui anche per l’anno prossimo si prospettasse un Pil fermo o negativo. E l’incognita Trump rende questo scenario più plausibile.