E’ di notizia di ieri, che l’amministrazione Trump ha stretto a sorpresa un accordo con i democratici all’opposizione al Congresso sull’innalzamento temporaneo (fino a metà dicembre prossimo) del tetto del debito federale USA autorizzato, scatenando le furie della sua stessa maggioranza, che si è sentita scavalcata su uno dei maggiori temi dell’attualità politica americana. In pochi sanno al di fuori degli States. che l’indebitamento del governo di Washington debba essere avallato dal Congresso, che fissa di volta in volta i limiti invalicabili, fino a successivo sblocco.
Prendendo come riferimento il periodo che va dal 1987 al 2016, ovvero l’ultimo trentennio, notiamo che il debito pubblico degli USA è aumentato per 8,5 volte, quando il loro pil nominale si è moltiplicato “solo” di 3,8 volte. In effetti, il rapporto debito/pil è più che raddoppiato nel periodo da meno del 50% al 105%, segnalando la scarsa capacità delle varie amministrazioni che si sono succedute nei 3 decenni a tenere a bada i conti pubblici federali. Va riconosciuto come la presidenza Bill Clinton fosse riuscita a registrare persino un avanzo di bilancio alla fine degli anni Novanta, mentre quella di Barack Obama ha quasi raddoppiato l’entità assoluta del debito, complice la crisi finanziaria ed economica eredita al suo ingresso alla Casa Bianca.
C’è un aspetto poco studiato o dibattuto sui giornali, ma è quello su cui si è concentrata l’intera campagna elettorale dell’attuale presidente USA, Donald Trump: il deficit commerciale. L’America ha accumulato negli ultimi 30 anni circa 10.330 miliardi di disavanzo commerciale, ovvero di differenza negativa tra esportazioni ed importazioni.
Eccesso di consumi USA
Per la teoria dei deficit gemelli, i disavanzi commerciali e quelli fiscali vanno di pari passo: un’economia che s’indebita, starebbe sovra-consumando. L’eccesso di consumi spinge a importare più di quanto non avverrebbe in una condizione di equilibrio fiscale. E, in effetti, nel periodo considerato, i deficit accumulati dai conti pubblici americani sono stati pari a 17.500 miliardi di dollari. Si consideri che il pil sia cresciuto nello stesso arco di tempo di 13.750 miliardi, ovvero di 1,25 volte in meno. Queste cifre suggeriscono che l’economia americana sarebbe cresciuta a colpi di debito, ma non solo pubblico, perché nel frattempo è aumentato anche quello delle famiglie, delle imprese e finanziario. Le prime sono passate da passività per meno di 2.700 miliardi a quasi 15.000 miliardi. Complessivamente, l’indebitamento dell’economia americana è pari a 3,5 volte il pil, meno dell’apice toccato nel 2009, ma ugualmente preoccupante.
Mettendo insieme solamente l’aumento del debito di famiglie e stato, scopriamo che questo sfiorerebbe i 30.000 miliardi dal 1987 al 2016, a fronte di un pil cresciuto meno della metà nello stesso periodo. Insomma, la crescita americana è dipesa negli ultimi decenni da un eccesso di consumo, captato anche dall’immenso deficit commerciale, pari al 60% del maggiore debito e al 75% del maggiore pil. Non avrebbe torto Trump, quando afferma che bisognerebbe tagliare il disavanzo con l’estero, anche se il problema che nessuno vuole vedere a Washington è che esso rispecchierebbe uno standard di vita del popolo americano superiore alle proprie possibilità.
In teoria, senza adottare alcuna forma di protezionismo, il deficit con il resto del mondo potrebbe essere ripianato attraverso l’ordine fiscale: il governo USA dovrebbe tendere al pareggio di bilancio più o meno stabilmente e ciò taglierebbe i consumi in eccesso degli americani, importazioni comprese.