L’esordio per il nuovo governo tecnico-politico del premier Mario Draghi non è stato tra i più brillanti. E non ammetterlo sarebbe da sciocchi. Chi sperava in un rapido cambio di passo nell’impostazione della strategia nella lotta al Covid-19 è rimasto ad oggi deluso. Certo, rispetto all’esperienza del Conte-bis si sta adottando un approccio sempre più circoscritto alle aree colpite dall’aumento dei contagi. La scelta è diventata quella di rafforzare le eventuali restrizioni a livello locale, cioè facendo riferimento perlopiù ai singoli comuni.
D’altronde, eravamo stati facili profeti all’atto dell’insediamento del nuovo esecutivo nel prevedere che la musica non sarebbe potuta cambiare così velocemente come credevamo e auspicavamo un po’ tutti. Il principale limite di Draghi consiste nella estrema lentezza delle vaccinazioni in Italia. Le campagne delle regioni stanno riguardando gli over 80, in questa fase. Ma le somministrazioni quotidiane si mostrano fin troppo basse. Basti solo la seguente classifica per farvi capire quanto indietro stiamo rimanendo rispetto ad alcuni tra i principali stati del pianeta. I numeri di cui sotto sono relativi alle dosi medie giornaliere somministrate su 100 abitanti nel mese di gennaio:
- Israele: 1,34
- Regno Unito: 0,59
- USA: 0,45
- Francia: 0,16
- Spagna: 0,15
- UE: 0,15
- Germania 0,15
- Italia 0,12
Così l’Italia si è fermata
Dopo una partenza positiva a gennaio, le vaccinazioni nel nostro Paese stanno andando a rilento, tanto che quasi tutti gli stati europei ci hanno superato per somministrazioni rispetto alla popolazione. Il 6,12% dell’Italia al 23 febbraio si mostrava più basso del 6,25% medio della UE al 22 febbraio. La Grecia nello stesso giorno aveva raggiunto il 7,32%, la Spagna il 6,77%, il Portogallo il 6,81%. Fuori dalla UE, la Turchia già si attestava all’8,64% e il Marocco al 7,23%.
Cosa sta succedendo? La classica disorganizzazione italiana. Nelle prime settimane, quando le vaccinazioni avevano riguardato esclusivamente il personale sanitario e impiegato nelle Rsa, le vaccinazioni sono avvenute negli ospedali e non vi erano state grosse difficoltà di carattere logistico. Adesso che devono vaccinarsi gli over 80, ogni regione sta andando in ordine sparso. C’è chi continua a utilizzare gli ospedali, chi strutture esterne. In questo secondo caso, non è facile individuare quali. E il sistema delle prenotazioni risulta anch’esso variegato.
Lockdown ad oltranza
Insomma, se è vero che le regioni hanno autonomia in fatto di sanità, non si capisce cosa ci stia a fare un commissario all’emergenza come Domenico Arcuri, salvo avere concentrato per settimane la sua mente sulle primule, le strutture che avrebbero dovuto essere costruite in tutta Italia per ospitare le vaccinazioni. Per fortuna, il primo atto del nuovo governo è stato puntare sulle strutture esistenti (soldi e tempo risparmiati) e depotenziare Arcuri, la cui gestione della pandemia è stata a dir poco discutibile e, a tratti, grottesca.
Siamo arrivati al punto, poi, che non riusciamo neppure a somministrare a sufficienza le dosi consegnateci. Sulle 5,2 milioni a disposizione delle regioni, circa il 29% è conservato nei frigo. Parliamo di 1,5 milioni di dosi, pari a circa il 2,5% della popolazione. Da una parte, le strutture ne trattengono una parte per evitare carenze di forniture quando ci saranno i richiami, dall’altra è proprio il caos organizzativo a incidere sulla lentezza.
Pensavate che le brutte notizie fossero finite? AstraZeneca avrebbe comunicato a Bruxelles che nel secondo trimestre dimezzerà le consegne da 180 a 90 milioni di dosi. Un altro duro colpo, che si va a sommare alle difficoltà specifiche dei singoli stati.
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