Il declino europeo non si può fermare, la tecnocrazia ha preso il posto della politica

Non c'è alcuna possibilità di sfuggire alla china del declino europeo in un mondo in cui domina la politica, mentre da noi la tecnocrazia.
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Declino europeo frutto della tecnocrazia
Declino europeo frutto della tecnocrazia © Licenza Creative Commons

Il mondo corre, l’Unione Europea cammina a stento, l’Eurozona è ferma del tutto. Questa è la situazione a cui ci siamo persino abituati mentalmente negli ultimi decenni. I dati sono impietosi. Nel 1990 il rapporto tra il Pil pro-capite negli Stati Uniti e quello nell’Eurozona era di 1,54. L’anno scorso era di 1,74. Significa che in 33 anni il divario tra le due sponde dell’Atlantico si è ampliato di 20 punti percentuali a nostro sfavore. Se misurassimo la produzione di ricchezza a parità di potere di acquisto, scopriremmo che il rapporto sarebbe passato da 1,16 a 1,32.

Dunque, non ci sono scuse. Siamo all’interno di un lungo ciclo di declino europeo.

Declino europeo in cifre

Nel triennio 2023-2025, stando alle previsioni di crescita del Fondo Monetario Internazionale, il Pil mondiale salirà del 10,1%. Negli Stati Uniti, segnerà un aumento del 7,2%, mentre in Cina sarà più del doppio: +15,4%. Molto meglio l’India con il +23,3%. E l’Eurozona? Un misero +2,9%. Fa peggio del Giappone, che con il 3,6% si conferma persino più dinamico di noi.

Cosa sta succedendo? Da troppi anni il Vecchio Continente, che è stato per millenni epicentro del pensiero politico, si è convertito alla tecnocrazia. I governi non rappresentano più nulla, se non gli esecutori materiali di ordini impartiti da organismi che nulla hanno a che spartire con la gestione del consenso e con la capacità di navigare a vele spiegate nel mondo. L’Unione Europea era stata pensata per rafforzare l’incidenza della politica continentale, mentre si è rivelata l’esatto opposto. Bruxelles è sede di quel “mostro irriformabile” denunciato agli inizi del millennio da un’ancora lucida Margaret Thatcher.

Europa del pilota automatico

E i britannici un quindicennio dopo dimostrarono di credere a quella tesi, votando a maggioranza per tirarsi fuori da un club di matti. Perché visti da fuori, questo siamo. Patto di stabilità, regolamenti su regolamenti, commissari, bilanci che devono essere approvati da un organo superiore agli stati nazionali, soldi che partono dalle capitali per arrivare a Bruxelles e tornare indietro secondo le direttive di quest’ultima.

Un casino senza senso. Non ha alcun significato questa baracca. Chi la difende, o è accecato da un furore pseudo-ideologico o realmente non capisce come gira il mondo. Terza ipotesi, con questo casino ci mangia.

I segni del declino europeo sono ravvisabili non da ultimo da quanto accade con la transizione energetica. Siamo l’unica area del mondo in cui stiamo facendo a pezzi la nostra economia, peraltro virtuosa sul piano dell’impatto ambientale, al solo fine di perseguire un’agenda iper-ideologizzata portata avanti da un organismo tecnocratico – la Commissione europea – contro la volontà degli stessi governi. Direte che questa sia una ricostruzione ingenua, che se i governi volessero, cambierebbero all’istante questa impostazione demenziale. Non è proprio così. Persino la Germania in mano ai Verdi ha dubbi sull’opportunità di proseguire su questa strada. Il punto è che nell’Unione Europea si va avanti con il tristemente noto “pilota automatico”. Una volta che una decisione è presa, va portata fino in fondo anche se si scontra con la realtà.

Tecnocrazia ottusa e senza visione

E’ il contrario del realismo politico. L’ottusità è la linfa vitale dei tecnocrati, soggetti che non devono rispondere a nessuno, se non al loro ego smisurato. L’esempio massimo di declino europeo è dato dalla materia fiscale. Abbiamo costruito qualcosa che non è mai esistito nella storia plurimillenaria del pianeta e che sta auto-distruggendoci: un’unica moneta con venti politiche sui conti pubblici. Non poteva funzionare e, in effetti, non sta funzionando. Anziché prendere atto della realtà e provvedere con alcuni correttivi, si vuole andare nella direzione opposta suggerita da Mario Draghi, cioè la creazione del super stato.

In pratica, una sola politica fiscale, gestita dai soliti tecnocrati che rispondono a sé stessi.

In gioco non c’è solo il concetto di democrazia, ma la nostra sopravvivenza nel mondo. A Washington come a Pechino domina la politica. Mentre in Europa facciamo il tifo come scolaretti per Kamala Harris o Donald Trump, non vediamo che i due rappresentano espressioni diverse di un modo di intendere il capitalismo e che l’America al suo interno è dilaniata proprio sul modello da seguire, non tanto sull’estetica dei due personaggi. L’Europa è rimasta l’unica realtà globale a non avere alcuna politica. Paradossalmente, eravamo più influenti nel mondo quando c’erano soltanto gli staterelli nazionali. C’era la divisione del mondo in blocchi che ci garantiva un certo ascolto alla Casa Bianca, innegabile. Ma c’era anche la capacità di elaborare una visione delle cose. Così è stato con Konrad Adenauer, Helmut Kohl, Charles de Gaulle, François Mitterand e nel nostro piccolo con Giulio Andreotti e Bettino Craxi.

Declino europeo e irrilevanza nel mondo

Nessuno di questi personaggi della storia politica moderna avrebbe potuto anche solo aprire bocca se ci fossero stati il Patto di stabilità, i regolamenti comunitari sulla pesca, sulle banche, sulla transizione energetica, sulla curvatura delle banane, ecc. Non è così che funziona il mondo. Questa ottusità mentale sta portando più che al declino europeo, all’irrilevanza vera e propria. Nessuno ci ascolta fuori dal nostro continente, perché tutti sanno che dietro alle nostre azioni non c’è politica, non ci sono azioni logiche e razionali, bensì un “pour parler” moralistico senza costrutto e percepito persino come demenziale, in quanto autolesionistico. Siamo diventati la negazione della storia dopo averla costruita e vissuta da protagonisti per millenni. La tecnocrazia, che è frutto del benessere costruito in secoli di politica anche brutale, è stata capace di fare quello che non erano riusciti arabi, ottomani e persiani: distruggerci.

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Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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