Decreto 1 maggio, incentivi per l’occupazione non bastano senza aumento della produzione

Il decreto 1 maggio prevede numerosi incentivi per l'occupazione a favore di giovani e donne, ma rischiano il flop.
8 mesi fa
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Ore lavorate in calo come sostengono CGIL e sinistra?
Ore lavorate in calo come sostengono CGIL e sinistra? © Licenza Creative Commons

Il primo maggio è la festa dei lavoratori, in Italia trasformata in una sfilata dell’ipocrisia. Sui palchi delle principali città italiane sentiremo parlare in queste ore di difesa del lavoro, della sua dignità, lotta al caporalato, prevenzione contro la piaga di infortuni e incidenti mortali, della necessità di aumentare l’occupazione nel Sud e, in particolare, tra donne e giovani. Ci sarà anche l’immancabile riferimento al miglioramento avvertito delle retribuzioni. Tante belle parole senza che arrivino mai soluzioni e iniziative concrete.

E anche quest’anno, come lo scorso, ci sarà un apposito decreto 1 maggio. E’ stato varato dal Consiglio dei ministri e contiene importanti novità per il mercato del lavoro, con la previsione di incentivi per l’occupazione.

Decreto 1 maggio, le principali previsioni

I provvedimenti più noti sono il bonus “Befana” da 100 euro con la busta paga del gennaio 2025. Sarà riconosciuto ai soli lavoratori dipendenti con redditi lordi fino a 28.000 euro e almeno un figlio minorenne a carico, con o senza coniuge. L’idea iniziale era di erogarlo a dicembre, ma avrebbe pesato sui conti pubblici di quest’anno, già stracarichi di impegni.

Sempre il decreto 1 maggio prevede il Superbonus 120% a favore delle assunzioni a tempo indeterminato. L’incentivo sale al 130% per le categorie svantaggiate elencate nel testo. Si tratta della possibilità per il datore di lavoro di detrarre il costo del lavoro per il 120-130% nel caso assuma nuovi lavoratori in maniera stabile e non abbia licenziato senza giustificato motivo nei sei mesi precedenti.

Sgravi contributivi a sostegno delle assunzioni stabili

Gli incentivi per l’occupazione non finiscono qui. Sgravi contributivi per il 100% a favore delle assunzioni di giovani e donne e nei limiti di 500 euro al mese, che salgono a 666 euro nel caso di giovani residenti al Sud e delle donne. La durata è fino a 24 mesi per i primi, da 6 a 24 mesi per le seconde, in base alla regione di residenza.

Questi sono i principali punti del decreto 1 maggio. Tutti lodevoli, avendo come obiettivo il sostegno all’occupazione stabile. I dati Istat ci dicono che il trend è positivo per il mercato del lavoro italiano. Il tasso di occupazione sfiora il 62%, mai così alto nella nostra storia. In valore assoluto, ci avviciniamo alla soglia dei 24 milioni di occupati.

Occupazione resta bassa in Italia

Il problema è che questi dati, pur segnando per l’Italia nuovi record, finiscono in fondo alle classifiche internazionali. L’Italia è alla stregua di economie come la Turchia uno dei Paesi con il minore tasso di occupazione nel mondo avanzato. Tra le donne le percentuali diventano ancora più imbarazzanti: meno del 53%. Per i giovani di età compresa tra 15 e 24 anni a lavorare è neppure uno su cinque. Al Sud, l’occupazione in media risulta inferiore al 50%, persino sotto il 45% in alcune regioni. E in tutto lo Stivale quasi un italiano su tre non lavora e non cerca ufficialmente alcun lavoro. Sono definiti anche “inattivi” e, purtroppo, è un triste primato in Europa.

Il decreto 1 maggio cerca di aggredire proprio l’inattività per aumentare l’occupazione di qualità. Il guaio è che gli incentivi per l’occupazione non sono affatto una novità e da decenni riguardano particolarmente il Sud, oltre che giovani e donne. I risultati sono stati nulli. Abbiamo speso fior di miliardi senza cavare un ragno dal buco. E’ triste ammetterlo, ma questa è la realtà. Il Mezzogiorno rimane l’area maggiormente depressa d’Europa sul fronte occupazionale. Tante le ragioni: molte micro-imprese preferiscono lavorare in nero, consapevoli che non reggerebbero all’ingresso nel mercato ufficiale. Sono scarsamente competitive e sopravvivono solo “grazie” alla manodopera a basso costo assunta irregolarmente.

Industria italiana in crisi da decenni

Ma la ragione fondamentale per cui gli incentivi non bastano mai si chiama crisi dell’industria.

Le imprese assumono se devono produrre. I dati Istat ci dicono, però, che dal picco del 2007 la loro produzione (ad esclusione delle costruzioni) è scesa quasi del 30%. In tutti questi anni, l’aumento dell’occupazione non ha ingrandito la torta, ma è servito a spartire la stessa in fette sempre più piccole. I redditi dei lavoratori, non a caso, restano fermi o diminuiscono in termini reali. Gli incentivi hanno finanziato spesso assunzioni già programmate dalle imprese, semplici sostituzioni. Se così non fosse stato, avremmo dovuto assistere ad un aumento della produzione, ossia anche del Pil italiano.

La speranza è che il decreto 1 maggio abbia un destino migliore, che acceleri le assunzioni già attese in crescita per i prossimi mesi. E, soprattutto, che venga succeduto da altri testi normativi a beneficio dell’economia italiana. La produzione industriale non riparte da molti anni per via di questioni irrisolte: alta pressione fiscale e contributiva, burocrazia paralizzante, infrastrutture carenti. Queste le principali cause dal lato pubblico. Ma il privato ci mette del suo con imprese di dimensioni minuscole, attive spesso in comparti a bassa innovazione tecnologica ed esposte alla concorrenza delle economie emergenti a basso costo, le quali effettuano scarsi investimenti. Le grandi imprese non sono da meno, gestite inadeguatamente da famiglie del capitalismo che si tramandano di generazione in generazione e senza volontà di innovazione del business e di confrontarsi con il mercato. Si vedano le poche quotazioni in borsa e quasi sempre con assetti proprietari inamovibili.

Decreto 1 maggio da solo non basta

Va bene, quindi, prevedere nuovi incentivi all’occupazione, purché nel frattempo cambi qualcosa per rendere strutturalmente più facile e conveniente assumere. La riforma fiscale in corso d’opera è un primo passo e i fondi del Pnrr possono dare un mano laddove potenziano gli investimenti pubblici. Il taglio del cuneo fiscale è stato in parte già varato, pur a tempo e fino ai 35.000 euro di reddito.

Richiede risorse ingenti per essere reso definitivo e ampliato, ma il tema è come far sì che non sconquassi le casse dell’Inps. In teoria, solo un forte aumento dell’occupazione lo eviterebbe. Oltre al decreto 1 maggio serve accelerare le altre riforme, altrimenti saremmo al cane che si morde la coda.

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Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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