In extremis, l’Argentina ha evitato il decimo default della sua storia. Sarebbe scattato a breve nel caso di mancato accordo con i creditori del Club di Parigi. Il governo di Buenos Aires aveva saltato una scadenza da 2,4 miliardi di dollari a maggio, l’ultima tranche del debito contratto in passato e già rinegoziato nel 2014 con i creditori pubblici internazionali, riuniti nell’organizzazione informale di cui fa parte tra l’altro l’Italia. Questa gli aveva concesso un periodo di grazia di 30 giorni, superati i quali l’Argentina sarebbe tecnicamente tornata in default per la quarta volta dall’inizio del nuovo millennio.
Il ministro delle Finanze, Martin Guzman, ha dichiarato di avere ottenuto sostanziali concessioni. Dovranno essere pagati solamente 430 milioni dei 2,4 miliardi ed entro il marzo 2022. Probabile, però, che entro la fine di luglio il governo provveda a pagare una prima tranche dell’importo. Secondo il ministro, la cancellazione si sarebbe resa necessaria per non intaccare ulteriormente le riserve valutarie e finire per aggravare le condizioni già pessime dell’economia argentina.
Lo scorso anno, l’Argentina ristrutturava 66 miliardi di dollari di debiti in mano ai creditori privati internazionali. Gli sgravi ottenuti nell’arco del decennio in corso sono stati valutati in 38 miliardi. La cedola media è stata tagliata dal 7% al 3%. Non è bastato. L’amministrazione di Alberto Fernandez sta rinegoziando anche i 44 miliardi di prestiti ottenuti dal Fondo Monetario Internazionale (FMI) tra il 2018 e il 2019. L’anno prossimo, dovrebbe restituirne oltre 18 miliardi, ma il governo ha fatto presente che non sarà in grado di farlo.
Default Argentina, non è finita
Praticamente, l’Argentina sta chiedendo la cancellazione parziale del debito a tutte le tipologie di creditori. Nel caso dell’FMI, però, un simile passo non è contemplato, per cui Buenos Aires dovrebbe accontentarsi di cedole più basse e di scadenze più lunghe, non anche del taglio del capitale da rimborsare (“haircut”).
Tuttavia, quanto accaduto in queste settimane ci impartisce una lezione difficile da digerire: neppure i bond già sottoposti a ristrutturazione sarebbero al riparo da nuove rinegoziazioni. Parliamo di quelli emessi in conseguenza del default di fine 2001 e degli altri molto più recenti, nati dalla ristrutturazione dell’estate scorsa. Non è un caso che questi ultimi si collochino tra 35 e 40 centesimi, ben al di sotto dei 50 centesimi del debutto sul mercato secondario. Gli investitori stanno scontano un nuovo default sin da quando si è usciti formalmente dall’ultimo nell’ordine di tempo. Del resto, le condizioni macro dell’Argentina sono disastrose e niente fa pensare a un cambio di passo del governo nella gestione delle finanze statali e dell’economia. Anzi.